Era gennaio…….Era andata
in cantina con mio padre per aiutarlo a prendere il carbone per la caldaia.
Salendo si inginocchiò su un gradino e spirò. Ero in ufficio, mi telefonarono
dicendo che la mamma era svenuta, di andare a casa subito, quando arrivai,
l’avevano distesa sul letto, gli occhi
chiusi, ma lei non era più lì.
Mi sentii improvvisamente
sola, travolta dalle incombenze del funerale, aiutata e consigliata dai vicini,
non riuscivo a pensare ad altro finché………. Ricordo quella notte, dal mio letto
vedevo la porta della sua camera illuminata ed il pensiero fisso era la
finestra lasciata aperta, temevo per lei che soffriva tanto il freddo.
Cercai, in quei momenti,
di riempire la mia mente di tutti gli attimi della mia vita con lei, volevo che
nulla mi sfuggisse, avrei voluto essere una scultore per scolpire ogni attimo su
un marmo.
I primi ricordi erano
spesso collegati alle mie frequenti cadute, mi piaceva correre ed andare in
bicicletta, ma le ginocchia erano sempre da restaurare, con la conseguente
disinfezione, abbastanza dolorosa, quando non c’era l’alcol, c’era il sale con
l’aceto, aveva il terrore del tetano, aveva perso di recente il suo nipote
prediletto.
Andavamo spesso a fare
passeggiate pomeridiane e la meta era la fabbrica di mio padre.
Rivedevo la sua felicità
quando, con la liquidazione della pensione di mio padre, acquistarono una sala
da pranzo in stile “chippendale”, la volle fortemente, era stata l’unica spesa
che si era potuto fare senza togliere nulla agli investimenti della fabbrica.
I compagni di scuola mi
chiedevano se era la mia nonna, non capivo perché, i suoi stupendi riccioli
grigi non avevano età; severa, ma, forse solo in apparenza; non perdeva
l’occasione per essere un’educatrice, lei, che aveva fatto solo la terza
elementare, ma adorava leggere, era sempre informatissima.
Ricordai quando, con tanto
timore, affrontò anche argomenti allora tabù, temeva cattivi insegnamenti e la
malizia degli altri.
Leggeva il giornale
sempre, si appassionava agli scontri fra
politici e seguì tutto il processo Eichmann in Israele.
Non era stato possibile
comportarci come due amiche, forse perché quarantacinque anni di differenza erano tanti, o forse ne
era mancato il tempo. Ambedue, però, sentivamo la necessità del contatto
fisico: spesso io, con la testa appoggiata al suo grembo, lei che mi accarezza
i capelli, in silenzio…. Lei, che a 13 anni aveva dovuto lasciare la sua mamma per andare a stare con
un fratello; la famiglia, numerosa, aveva dovuto dividersi causa la morte
prematura del padre.
Sapeva di essere una madre
quasi nonna e temeva di non riuscire a portarmi all’età adulta.
“Per fortuna Mirella è una femmina,” diceva, “una donna si cresce con meno fatica che un maschio.”
Quando mio padre pensava
ad un secondo figlio lei gli diceva sempre “
e se viene un maschio e non riusciamo a crescerlo?”
Quando la zia Maria,
sorella di mio padre veniva da Genova per stare un po’ con noi, per lei era una festa, due caratteri diversi,
ma che si adoravano ed anche quel giorno di gennaio, dopo il pranzo, in attesa
dell’ora per andare in ufficio, io, la testa sulle sue ginocchia, mentre la sua
mano giocava con i miei capelli, mi disse “ Sai arriva zia Maria, mi ha telefonato questa mattina,
ci porta un po’ della sua allegria, ha detto che starà qui un po’ più del
solito”, forse il cuore le diceva che era l’ultima carezza.
Non ho preso molti
scappellotti, ma quello che ricordai meglio, in quella notte insonne, fu quello
che mi diede quando le dissi che ero andata e passeggiare con le compagne in
Via dell’Inferno, per me una strada come
le altre, per lei la via dove fino a pochi anni prima vi erano le “case di
tolleranza”, dopo il ceffone, mi spiegò
tutto.
Anche le forti discussioni
con la nonna Chiara, la suocera, mi passarono davanti come lontani episodi,
eppure quando avvenivano, otre a farmi male, mi creavano disagio, perché
soffrivo a vedere che due persone che adoravo, si scontravano causa la forza
dei loro caratteri, ma quello della nonna cercava sempre di sopraffare l’altro,
quello della mamma.
Non si era mai lamentata
di essere stata 25 anni fidanzata prima di sposarsi, non ho mai capito se non
le era pesato o se l’aveva subito come un destino.
Quando, ormai cresciuta,
portavo i tacchi altissimi e lei non più, mi avvicinavo, abbracciandola, la
sentivo piccola, con i suoi riccioli, che avevo sempre visto grigi, sulla mia
spalla, mi sembrava di proteggerla da quei disturbi che la mia nascita, nella
età avanzata, le aveva procurato, quei disturbi che in definitiva me la
portarono via dopo 23 anni, possono
sembrare tanti, ma in un rapporto madre e figlia sono sempre pochi.
Mi ha molto emozionata leggere i tuoi ricordi Mirella, mi ha commossa l’idea del distacco dalle persone care, il cercare più ricordi possibili. Questo tipo di distacco rappresenta il timore più grande per me e di recente mi è passata accanto questa possibilità sfiorandomi e ancora è là che mi guarda, spero che si possa allontanare al più presto.
RispondiEliminaLa ragazza col vestito a fiori