martedì 29 maggio 2012

Le vostre storie


Giorni che cambiano la vita. 

Ci sono giorni che ti cambiano la vita.  

A volte in bene, altre volte in male.

Giorni normali, in cui ti alzi e fai le cose di sempre...sempre il solito caffèlatte, sempre la solita

tazza e la solita sigaretta subito dopo. Sempre i soliti vizi. La solita coda di cavallo, perché i capelli

lunghi li adoro ma mi fanno caldo, il solito dentifricio e il profumo di sempre.

Poi succede qualcosa che rende tutto diverso.

Era una mattina, ero sola a casa.

Scaricavo le foto di una vacanza che mi era piaciuta ma mi aveva lasciato uno strano amaro in

bocca. Ma questa è un'altra storia.

Ammiravo la mia abbronzatura mentre curavo il mio naso, il solito naso ustionato di ogni mia

vacanza. Perché non mi basta neanche la crema lì sopra.

La cartella con le foto aperta, per scorrerle ed eliminare quelle frutto di un tremito da troppo

divertimento o quelle in cui le pose erano troppo brutte per essere anche solo divertenti.

E poi una foto mia.

Che mi arriva in faccia come uno schiaffo.

Ma non si è mossa.

La guardo per qualche minuto, lunghissimo.

Non sono io.

Quella non sono io.

Io non sono così.

Non lo so per quanto me lo sono ripetuta, ho perso il conto delle volte dopo pochi secondi.

Ma era vero: io non riuscivo a collegare me a quella foto.

Non rispecchiava l'immagine che avevo io di me.

Era molto, molto peggio.

Era una foto che doveva nascere come divertente.

E a me sembrava grottesca.

In costume, intero e di un bel rosa flash.

Con sollevato sopra la testa un tavolino da giardino, di quelli tondi in cui si sta stretti anche in due,

di plastica, leggero.

L'unica cosa che vedevo io però era quel costume.

Pieno, strabordante.

Impietoso.

Ciccia, solo ciccia.

Non sono mai stata magra, almeno non dai miei 5 anni in avanti. L'ho sempre saputo, vissuto più o

meno bene, ma ci ho sempre convissuto.

Quell'estate avevo raggiunto il mio peso massimo, il picco storico.

Ma non me ne ero accorta. Io mi vedevo sempre uguale, la solita me.

Ma non era così. La solita me era avvolta in un fagotto che io non avevo visto fino a quel momento.

E quel giorno mi ha cambiato la vita.

Di riflesso, quel giorno, per soffocare il disgusto che quella foto mi aveva provocato, ho aperto il

frigo e ho fatto razzia di tutto quello che ho trovato. Masticando, credevo, avrei digerito un boccone

amaro. Peccato che quel boccone amaro non era cibo, avrei potuto masticare anche i mobili, il

disgusto sarebbe rimasto lì, uguale a prima.

Poi il disgusto, rimasto identico anche dopo aver chiuso il frigorifero, mi ha portato i sensi di colpa.

Per ogni cosa ingerita nei minuti precedenti. Perché quelle cose erano quello che mi aveva

infagottato. E che mi aveva portato ad essere quella della foto, senza rendermene conto.

E il disgusto, dopo i sensi di colpa, mi ha dato la soluzione: vomitare.

Non volevo, ma non riuscivo a resistere.

 Alla fine l'ho fatto.

Ma è stata l'unica volta.

Perché il sollievo che cercavo non è arrivato dopo il vomito.

Anzi, è tornato il bisogno di masticare.

E lì ho capito che avevo davanti un vortice che mi avrebbe fatto male da morire se mi ci fossi

infilata dentro.

E' stata dura in seguito.

Per qualche settimana il cibo in generale mi ha disgustato.

Ricordo di essere scappata più volte da uscite con amici, perché persino l'odore del cibo mi

disturbava. Non mi andava nulla, forse solo qualche caffè e un po' di insalata, giusto per dire che

mangiavo e non preoccupare nessuno.

Ricordo un amico, che era speciale e poi si è rivelato solo un'illusione, trattarmi come una bambina

che non vuole mangiare: mi ha tenuto ore seduta davanti a una bistecchina. Finché, per sfinimento o noia, me l'ha fatta mangiare tutta.

Ricordo che dopo circa tre settimane avevo perso 12 kg.

E ricordo di aver pensato che quello era solo un altro vortice, non andava bene nemmeno quello.

Sono andata da una dietologa.

Con il mio amico che aspettava fuori.

Ricordo che l'unica cosa che provavo era vergogna. Ero contenta che fosse venuto con me, era come

un fratello ed era il mio punto di riferimento. Ma mi vergognavo. Di me.

Quando sono uscita dalla visita volevo solo piangere. Forse come sfogo, a tutt'oggi non me lo so

spiegare. Ma so che non l'ho fatto. Ho portato tutta l'attenzione su un dito che mi ero schiacciata

qualche giorno prima ed era un po' nero. Abbiamo parlato per più di un'ora della facilità con cui si

lasciano dita, di mani e piedi, contro spigoli o dentro a cassetti.

Tutto, pur di evitare quell'argomento.

Tutto pur di arginare le lacrime.

Poi, è andato via.

E sono rimasta io con le mie lacrime. Finalmente. Perché quelle lacrime sono diventate forza. Nel

voler trovare un equilibrio per me, nel voler smettere di vedere il cibo come sfogo.

Perché, in tutte quelle settimane di disgusto, avevo realizzato una cosa: tutta la mia vita influenzava

il mio rapporto con il cibo. Se ero felice, andava tutto bene. Alla minima preoccupazione, il minimo

problema, il dilemma grande, il fallimento anche ridicolo o alla minima sconfitta, la mia testa

entrava nel frigo. Per uscirne solo dopo tanto cibo.

Perché in realtà ho sempre cercato di masticare i problemi della vita.

Ma in realtà ho masticato a vuoto.

I problemi non si masticano, si affrontano.

Il mio piccolo disturbo alimentare era la fame nervosa.

E, quel giorno uguale a tutti gli altri, poteva portarmi a ben altro, a disturbi più gravi e seri. Me li ha

messi davanti, mi ha fatto vedere cosa poteva diventare.

Ma mi ha salvato la paura. Paura di farmi male. L'autoconservazione ha vinto sull'autodistruzione.

Quel giorno mi ha cambiato la vita in bene.

Dopo sei mesi di dieta avevo perso 30 kg.

E li ho mantenuti.

Non li ho rimangiati.

Ho imparato a parlare e non a masticare. A dire quello che non va, quello che mi preoccupa, a non

avere paura delle mie emozioni e ad affrontarle, negative o positive che siano.

E non ho più bisogno di sfogarmi con il cibo.

Mi concedo le mie voglie ma sono slegate dal mio umore.

Certi giorni vivrei di frutta, certi di schifezze. Ma questo è normale.

Non era normale sperare di trovare consolazione in qualche ripiano del frigo.

Ancora non sono una ragazza magra.

Non lo sarò mai probabilmente.


Ma ad oggi sono fiera di quello che sono.

Ho lavorato su me stessa, ho lavorato su ogni pezzetto delle cose che per me erano solite, le solite

cose profondamente sbagliate. E le ho aggiustate.

Mi piace mangiare adesso.

Ma non sono più schiava del mio frigorifero, non è il mio muro del pianto. E' solo un posto per

conservare il cibo e l'acqua, che mi è sempre piaciuta fredda.

E ogni volta che mi guardo allo specchio, mi ricordo di quanto c'è voluto per vedermi finalmente,

per sapere che quella sono proprio io, con tutta la mia cellulite, le mie smagliature e i miei chili di

troppo.

Ma sono io.
Mi vedo, mi vivo.

Non voglio fare la modella da grande.

Ma da grande voglio fare la persona serena il più possibile.

E tutta questa storia mi ha permesso di esserlo.

Perché non mi nascondo più, né dietro ad un'abbuffata né dietro una immagine di me che ho

costruito per indorarmi la pillola.

Questa sono io.

E qualche chilo di troppo non mi rende una persona peggiore.

Io, certi giorni più, certi giorni meno, mi vedo bella.

Bella per la persona che sono.

Piango molto di più oggi, ma va bene così. E' uno sfogo sano quello.

Quella solita giornata mi ha cambiato la vita.

In bene.

Anche se all'inizio ha fatto male.

Adesso la solita me è una persona migliore.

Più leggera, ma di spirito.

Gaia


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