Giorni che cambiano la vita.
Ci sono giorni che ti cambiano la vita.
A volte in bene, altre volte in male.
Giorni normali, in cui ti alzi e fai le cose di
sempre...sempre il solito caffèlatte, sempre la solita
tazza e la solita sigaretta subito dopo. Sempre i soliti
vizi. La solita coda di cavallo, perché i capelli
lunghi li adoro ma mi fanno caldo, il solito dentifricio e
il profumo di sempre.
Poi succede qualcosa che rende tutto diverso.
Era una mattina, ero sola a casa.
Scaricavo le foto di una vacanza che mi era piaciuta ma mi
aveva lasciato uno strano amaro in
bocca. Ma questa è un'altra storia.
Ammiravo la mia abbronzatura mentre curavo il mio naso, il
solito naso ustionato di ogni mia
vacanza. Perché non mi basta neanche la crema lì sopra.
La cartella con le foto aperta, per scorrerle ed eliminare
quelle frutto di un tremito da troppo
divertimento o quelle in cui le pose erano troppo brutte per
essere anche solo divertenti.
E poi una foto mia.
Che mi arriva in faccia come uno schiaffo.
Ma non si è mossa.
La guardo per qualche minuto, lunghissimo.
Non sono io.
Quella non sono io.
Io non sono così.
Non lo so per quanto me lo sono ripetuta, ho perso il conto
delle volte dopo pochi secondi.
Ma era vero: io non riuscivo a collegare me a quella foto.
Non rispecchiava l'immagine che avevo io di me.
Era molto, molto peggio.
Era una foto che doveva nascere come divertente.
E a me sembrava grottesca.
In costume, intero e di un bel rosa flash.
Con sollevato sopra la testa un tavolino da giardino, di
quelli tondi in cui si sta stretti anche in due,
di plastica, leggero.
L'unica cosa che vedevo io però era quel costume.
Pieno, strabordante.
Impietoso.
Ciccia, solo ciccia.
Non sono mai stata magra, almeno non dai miei 5 anni in
avanti. L'ho sempre saputo, vissuto più o
meno bene, ma ci ho sempre convissuto.
Quell'estate avevo raggiunto il mio peso massimo, il picco
storico.
Ma non me ne ero accorta. Io mi vedevo sempre uguale, la
solita me.
Ma non era così. La solita me era avvolta in un fagotto che
io non avevo visto fino a quel momento.
E quel giorno mi ha cambiato la vita.
Di riflesso, quel giorno, per soffocare il disgusto che
quella foto mi aveva provocato, ho aperto il
frigo e ho fatto razzia di tutto quello che ho trovato.
Masticando, credevo, avrei digerito un boccone
amaro. Peccato che quel boccone amaro non era cibo, avrei
potuto masticare anche i mobili, il
disgusto sarebbe rimasto lì, uguale a prima.
Poi il disgusto, rimasto identico anche dopo aver chiuso il
frigorifero, mi ha portato i sensi di colpa.
Per ogni cosa ingerita nei minuti precedenti. Perché quelle
cose erano quello che mi aveva
infagottato. E che mi aveva portato ad essere quella della
foto, senza rendermene conto.
E il disgusto, dopo i sensi di colpa, mi ha dato la
soluzione: vomitare.
Non volevo, ma non riuscivo a resistere.
Alla fine l'ho fatto.
Ma è stata l'unica volta.
Perché il sollievo che cercavo non è arrivato dopo il
vomito.
Anzi, è tornato il bisogno di masticare.
E lì ho capito che avevo davanti un vortice che mi avrebbe
fatto male da morire se mi ci fossi
infilata dentro.
E' stata dura in seguito.
Per qualche settimana il cibo in generale mi ha disgustato.
Ricordo di essere scappata più volte da uscite con amici,
perché persino l'odore del cibo mi
disturbava. Non mi andava nulla, forse solo qualche caffè e
un po' di insalata, giusto per dire che
mangiavo e non preoccupare nessuno.
Ricordo un amico, che era speciale e poi si è rivelato solo
un'illusione, trattarmi come una bambina
che non vuole mangiare: mi ha tenuto ore seduta davanti a
una bistecchina. Finché, per sfinimento o noia, me l'ha fatta mangiare tutta.
Ricordo che dopo circa tre settimane avevo perso 12 kg.
E ricordo di aver pensato che quello era solo un altro
vortice, non andava bene nemmeno quello.
Sono andata da una dietologa.
Con il mio amico che aspettava fuori.
Ricordo che l'unica cosa che provavo era vergogna. Ero
contenta che fosse venuto con me, era come
un fratello ed era il mio punto di riferimento. Ma mi
vergognavo. Di me.
Quando sono uscita dalla visita volevo solo piangere. Forse
come sfogo, a tutt'oggi non me lo so
spiegare. Ma so che non l'ho fatto. Ho portato tutta l'attenzione
su un dito che mi ero schiacciata
qualche giorno prima ed era un po' nero. Abbiamo parlato per
più di un'ora della facilità con cui si
lasciano dita, di mani e piedi, contro spigoli o dentro a
cassetti.
Tutto, pur di evitare quell'argomento.
Tutto pur di arginare le lacrime.
Poi, è andato via.
E sono rimasta io con le mie lacrime. Finalmente. Perché
quelle lacrime sono diventate forza. Nel
voler trovare un equilibrio per me, nel voler smettere di
vedere il cibo come sfogo.
Perché, in tutte quelle settimane di disgusto, avevo
realizzato una cosa: tutta la mia vita influenzava
il mio rapporto con il cibo. Se ero felice, andava tutto
bene. Alla minima preoccupazione, il minimo
problema, il dilemma grande, il fallimento anche ridicolo o
alla minima sconfitta, la mia testa
entrava nel frigo. Per uscirne solo dopo tanto cibo.
Perché in realtà ho sempre cercato di masticare i problemi
della vita.
Ma in realtà ho masticato a vuoto.
I problemi non si masticano, si affrontano.
Il mio piccolo disturbo alimentare era la fame nervosa.
E, quel giorno uguale a tutti gli altri, poteva portarmi a
ben altro, a disturbi più gravi e seri. Me li ha
messi davanti, mi ha fatto vedere cosa poteva diventare.
Ma mi ha salvato la paura. Paura di farmi male.
L'autoconservazione ha vinto sull'autodistruzione.
Quel giorno mi ha cambiato la vita in bene.
Dopo sei mesi di dieta avevo perso 30 kg.
E li ho mantenuti.
Non li ho rimangiati.
Ho imparato a parlare e non a masticare. A dire quello che
non va, quello che mi preoccupa, a non
avere paura delle mie emozioni e ad affrontarle, negative o
positive che siano.
E non ho più bisogno di sfogarmi con il cibo.
Mi concedo le mie voglie ma sono slegate dal mio umore.
Certi giorni vivrei di frutta, certi di schifezze. Ma questo
è normale.
Non era normale sperare di trovare consolazione in qualche
ripiano del frigo.
Ancora non sono una ragazza magra.
Non lo sarò mai probabilmente.
Ma ad oggi sono fiera di quello che sono.
Ho lavorato su me stessa, ho lavorato su ogni pezzetto delle
cose che per me erano solite, le solite
cose profondamente sbagliate. E le ho aggiustate.
Mi piace mangiare adesso.
Ma non sono più schiava del mio frigorifero, non è il mio
muro del pianto. E' solo un posto per
conservare il cibo e l'acqua, che mi è sempre piaciuta
fredda.
E ogni volta che mi guardo allo specchio, mi ricordo di
quanto c'è voluto per vedermi finalmente,
per sapere che quella sono proprio io, con tutta la mia
cellulite, le mie smagliature e i miei chili di
troppo.
Ma sono io.
Mi vedo, mi vivo.
Non voglio fare la modella da grande.
Ma da grande voglio fare la persona serena il più possibile.
E tutta questa storia mi ha permesso di esserlo.
Perché non mi nascondo più, né dietro ad un'abbuffata né
dietro una immagine di me che ho
costruito per indorarmi la pillola.
Questa sono io.
E qualche chilo di troppo non mi rende una persona peggiore.
Io, certi giorni più, certi giorni meno, mi vedo bella.
Bella per la persona che sono.
Piango molto di più oggi, ma va bene così. E' uno sfogo sano
quello.
Quella solita giornata mi ha cambiato la vita.
In bene.
Anche se all'inizio ha fatto male.
Adesso la solita me è una persona migliore.
Più leggera, ma di spirito.
Gaia