martedì 5 giugno 2012

Le vostre storie


Vivere un terremoto

Mariella racconta...



Sono tendenzialmente una persona razionale e ragionevole.  Attualmente sto vivendo nel centro del terremoto ma non nell’epicentro, il che  mi permette di continuare ad essere ragionevole. Non posso e non voglio raccontare il terremoto. Ma mi è stato chiesto di raccontare come reagisce una persona ragionevole ad un terremoto che dura da oltre quindici giorni, che sembra rinnovarsi con scosse di pericolosa virulenza ogni sei o sette giorni, e nel frattempo tiene tutti aggiornati con più o meno forti scosse cosiddette di assestamento. Di assestamento - in altre parole, fine delle scosse oltre il quinto grado Richter e inizio di una situazione di normalità -  per ora nessuna notizia.

E allora come si vive?

La prima scossa mi sveglia il 20 maggio alle quattro del mattino. Al quinto piano una scossa fa ondeggiare piuttosto visibilmente una casa di cemento armato, strutturalmente elastica. Il letto si muove, gli oggetti ballano, una statua alta e sottile si corica, per fortuna, su una fotografia in cornice. Niente altro.

Accidenti, che scossa! L’epicentro deve essere vicino. Tutto sommato ho sperimentato altre scosse, senza turbarmi troppo, il terremoto del Friuli, per esempio, o quello delle Marche e del parmense. Ma lo sappiamo, sotto Modena c’è l’acqua, questa non è mai stata zona di terremoti. La sveglia suona qualche minuto dopo il terremoto: in effetti devo prendere un pullman alle cinque, mi aspettano alcuni giorni di turismo lungo la Mosella. Partiamo senza troppa preoccupazione per chi resta a casa.

Le notizie ci rincorrono e ci fanno capire che questa volta siamo noi l’obiettivo del sisma. Figli e amici ci tengono aggiornati e cominciamo a sentire la lontananza come un segno di irresponsabilità, o almeno di scarsa sensibilità. Infatti più o meno piccole scosse si susseguono a centinaia ma, poiché mia figlia è del genere razionale/ragionevole, penso che non ci sia un vero pericolo per la famiglia. Ma per gli sfortunati dell’epicentro sì, il pericolo lo vivono ogni giorno con morti, feriti e distruzione di case e fabbricati.
Soffro anche a sentire che sono stati distrutti monumenti, non eccelsi ma così legati al paesaggio e alla cultura della zona, che conosco o, se non li conosco direttamente, è come se li conoscessi perché fanno parte del mio mondo da sempre.

Al ritorno a casa non prendo molto sul serio il pericolo personale ma mi dà grande pena la vista delle persone che raccontano con estrema concretezza e compostezza la perdita di molto o di tutto.

Ma il lunedì c’è già chi si muove e tenta di riavviare il lavoro. Non si sta con le mani in mano qui. E questo causa altri morti, perché martedì mattina si verifica una scossa fortissima alle 9.

La scossa è prolungata e a me pare, in parte, sussultoria perché mi è sembrato che la terra mi spingesse da sotto. Poi si è dondolata, la nostra terra, come a rassicurarci che era tutto come il solito.

Paura? Non tanta, ma sorpresa perché l’illusione che si fosse alla fine del sisma ci cominciava a sorridere. Tenere i nervi saldi, mi dico. Abito in un condominio “elastico “. L’architetto che lo ha costruito ci abita pure e dice che va a letto tranquillo. Sua moglie meno. Faccio lo sforzo, senza troppa fatica per la verità, di ignorare le piccole continue scosse che si susseguono. Ho constatato che lavorare, fare cucina e soprattutto suonare il piano aiuta a  escludere dal cervello le sensazioni che il corpo manda con regolarità in termini di accelerazione del battito cardiaco, per qualcuno anche  giramenti di testa o nausea. Sono diventata abile a nascondermi le sensazioni che potrebbero spaventarmi. Ma alla sera una nuova drammatica  scossa.
Prima pensi a quei poveretti che sono morti nei capannoni, vittime di quante circostanze contrarie: la fragilità delle costruzioni, la meritoria volontà di ricominciare subito ma anche una certa superficialità nella decisione di farlo, e di nuovo la sorpresa delle due terribili scosse. Ma non era zona a basso rischio sismico?

E allora tu, fra sentimenti di solidarietà (vai subito a fare un bonifico) e desiderio di non farti prendere dal panico, continui a fare la solita vita.
Solo che ti capita, quando hai preso l’ascensore e sei arrivato al tuo quinto piano, di accorgerti che nel cervello è passato in un lampo, “Anche questa volta è andata bene.” Perché in effetti ti hanno detto che l’ascensore non va preso durante un sisma ma cinque piani a piedi, se si può, li si evita. E ci si trova, senza accorgersene, a guardare se ci sono crepe nel muro. Non ci sono. Se il lampadario dondola. A volte. Se la sedia a rotelle davanti al computer si muove mentre scrivi. Può capitare. Ma tieni duro a pensare che è inutile fuggire dalla

situazione esistente: per quanto tempo uno dovrebbe passare la notte in un prato o in un’auto? Prima o poi devi rientrare, se è vero che si tratterà di tempi lunghi.

Così si guardano le continue trasmissioni sullo stato delle cose, ti meravigli dell’equilibrio e della volontà di non arrendersi di chi è davvero, come dicono gli intervistati, “in ginocchio”. E benedici la fortuna di appartenere a  gente che ha sempre avuto una “buccia” dura, che non si lamenta più del dovuto, che parla con sobrietà di cose concrete da fare subito. Ma che ha diritto di chiedere una mano da tutti noi.

Passa un’altra settimana (mentre scrivo la sedia si muove sulle sue rotelline); domenica sera un’altra scossa inattesa (ci illudiamo sempre che sia l’ultima) e penso quanto difficile sarà ricostruire senza stravolgere, salvare l’aspetto delle cittadine colpite, aiutare i contadini con le loro case coloniche distrutte, rifare partire le industrie, ricostruire i monumenti  che non sono una priorità oggi ma lo saranno nel prossimo futuro perché bisogna potersi riconoscere nei propri luoghi, nessuno vuole casette prefabbricate con l’abbandono delle città.

Ma non eravamo una zona a basso rischio sismico? Pare che la nostra pianura sia come un budino: se lo scuoti appena, la scossa si dirama velocemente e lontanissimo. Con questa idea e sperando che la cuoca tenga il budino in frigorifero invece di sbatacchiarlo continuamente, mi rassegno ad essere

con determinazione razionale e ragionevole. Per ora non resta altro da fare.


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