Vivere un terremoto
Mariella racconta...
Sono tendenzialmente una persona razionale e
ragionevole. Attualmente sto vivendo nel
centro del terremoto ma non nell’epicentro, il che mi permette di continuare ad essere
ragionevole. Non posso e non voglio raccontare il terremoto. Ma mi è stato
chiesto di raccontare come reagisce una persona ragionevole ad un terremoto che
dura da oltre quindici giorni, che sembra rinnovarsi con scosse di pericolosa
virulenza ogni sei o sette giorni, e nel frattempo tiene tutti aggiornati con più
o meno forti scosse cosiddette di assestamento. Di assestamento - in altre
parole, fine delle scosse oltre il quinto grado Richter e inizio di una
situazione di normalità - per ora
nessuna notizia.
E allora come si vive?
La prima scossa mi sveglia il 20 maggio alle quattro del
mattino. Al quinto piano una scossa fa ondeggiare piuttosto visibilmente una
casa di cemento armato, strutturalmente elastica. Il letto si muove, gli
oggetti ballano, una statua alta e sottile si corica, per fortuna, su una fotografia
in cornice. Niente altro.
Accidenti, che scossa! L’epicentro deve essere vicino. Tutto
sommato ho sperimentato altre scosse, senza turbarmi troppo, il terremoto del
Friuli, per esempio, o quello delle Marche e del parmense. Ma lo sappiamo,
sotto Modena c’è l’acqua, questa non è mai stata zona di terremoti. La sveglia
suona qualche minuto dopo il terremoto: in effetti devo prendere un pullman
alle cinque, mi aspettano alcuni giorni di turismo lungo la Mosella. Partiamo
senza troppa preoccupazione per chi resta a casa.
Le notizie ci rincorrono e ci fanno capire che questa volta
siamo noi l’obiettivo del sisma. Figli e amici ci tengono aggiornati e
cominciamo a sentire la lontananza come un segno di irresponsabilità, o almeno
di scarsa sensibilità. Infatti più o meno piccole scosse si susseguono a
centinaia ma, poiché mia figlia è del genere razionale/ragionevole, penso che
non ci sia un vero pericolo per la famiglia. Ma per gli sfortunati
dell’epicentro sì, il pericolo lo vivono ogni giorno con morti, feriti e
distruzione di case e fabbricati.
Soffro anche a sentire che sono stati
distrutti monumenti, non eccelsi ma così legati al paesaggio e alla cultura
della zona, che conosco o, se non li conosco direttamente, è come se li
conoscessi perché fanno parte del mio mondo da sempre.
Al ritorno a casa non prendo molto sul serio il pericolo
personale ma mi dà grande pena la vista delle persone che raccontano con
estrema concretezza e compostezza la perdita di molto o di tutto.
Ma il lunedì c’è già chi si muove e tenta di riavviare il
lavoro. Non si sta con le mani in mano qui. E questo causa altri morti, perché
martedì mattina si verifica una scossa fortissima alle 9.
La scossa è prolungata e a me pare, in parte, sussultoria
perché mi è sembrato che la terra mi spingesse da sotto. Poi si è dondolata, la
nostra terra, come a rassicurarci che era tutto come il solito.
Paura? Non tanta, ma sorpresa perché l’illusione che si
fosse alla fine del sisma ci cominciava a sorridere. Tenere i nervi saldi, mi
dico. Abito in un condominio “elastico “. L’architetto che lo ha costruito ci
abita pure e dice che va a letto tranquillo. Sua moglie meno. Faccio lo sforzo,
senza troppa fatica per la verità, di ignorare le piccole continue scosse che
si susseguono. Ho constatato che lavorare, fare cucina e soprattutto suonare il
piano aiuta a escludere dal cervello le
sensazioni che il corpo manda con regolarità in termini di accelerazione del
battito cardiaco, per qualcuno anche
giramenti di testa o nausea. Sono diventata abile a nascondermi le
sensazioni che potrebbero spaventarmi. Ma alla sera una nuova drammatica scossa.
Prima pensi a quei poveretti che sono
morti nei capannoni, vittime di quante circostanze contrarie: la fragilità
delle costruzioni, la meritoria volontà di ricominciare subito ma anche una
certa superficialità nella decisione di farlo, e di nuovo la sorpresa delle due
terribili scosse. Ma non era zona a basso rischio sismico?
E allora tu, fra sentimenti di solidarietà (vai subito a
fare un bonifico) e desiderio di non farti prendere dal panico, continui a fare
la solita vita.
Solo che ti capita, quando hai preso l’ascensore e sei arrivato
al tuo quinto piano, di accorgerti che nel cervello è passato in un lampo,
“Anche questa volta è andata bene.” Perché in effetti ti hanno detto che
l’ascensore non va preso durante un sisma ma cinque piani a piedi, se si può,
li si evita. E ci si trova, senza accorgersene, a guardare se ci sono crepe nel
muro. Non ci sono. Se il lampadario dondola. A volte. Se la sedia a rotelle davanti
al computer si muove mentre scrivi. Può capitare. Ma tieni duro a pensare che è
inutile fuggire dalla
situazione esistente: per quanto tempo uno dovrebbe passare
la notte in un prato o in un’auto? Prima o poi devi rientrare, se è vero che si
tratterà di tempi lunghi.
Così si guardano le continue trasmissioni sullo stato delle
cose, ti meravigli dell’equilibrio e della volontà di non arrendersi di chi è
davvero, come dicono gli intervistati, “in ginocchio”. E benedici la fortuna di
appartenere a gente che ha sempre avuto
una “buccia” dura, che non si lamenta più del dovuto, che parla con sobrietà di
cose concrete da fare subito. Ma che ha diritto di chiedere una mano da tutti
noi.
Passa un’altra settimana (mentre scrivo la sedia si muove
sulle sue rotelline); domenica sera un’altra scossa inattesa (ci illudiamo
sempre che sia l’ultima) e penso quanto difficile sarà ricostruire senza
stravolgere, salvare l’aspetto delle cittadine colpite, aiutare i contadini con
le loro case coloniche distrutte, rifare partire le industrie, ricostruire i
monumenti che non sono una priorità oggi
ma lo saranno nel prossimo futuro perché bisogna potersi riconoscere nei propri
luoghi, nessuno vuole casette prefabbricate con l’abbandono delle città.
Ma non eravamo una zona a basso rischio sismico? Pare che la
nostra pianura sia come un budino: se lo scuoti appena, la scossa si dirama
velocemente e lontanissimo. Con questa idea e sperando che la cuoca tenga il
budino in frigorifero invece di sbatacchiarlo continuamente, mi rassegno ad
essere
con determinazione razionale e ragionevole. Per ora non
resta altro da fare.
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