giovedì 17 gennaio 2013

Rusdie e Grossman su dolore e scrittura


Intervista a Rushdie e Grossman (Repubblica 18 novembre 2012)


Ci siamo salvati scrivendo 'Non ci lasceranno senza parole'

 

Il dolore ha mai spento la vostra scrittura? 

Grossman: «Ci è andato molto vicino. Nel 2006 è morto mio figlio Uri, soldato.E io ero perso, vuoto, esiliato da tutto e tutti. La mia vita era deformata, non c' era più nulla di garantito, né più nulla da riparare. Stavo seduto senza trovare le parole. Poi ho pensato che io vivo nella letteratura, è un dono, è un privilegio: e le parole hanno una loro magia, sanno essere ironiche, fantasticare anche nei momenti peggiori. Ma tornando a Freud, che anch' io stimo come scrittore, la psicanalisi se vede un uomo annegare corre a salvarlo, io invece voglio affondare con lui. Per me scrivere è questo, è affrontare intensamente le emozioni, non sfuggirle, e così mi sono ributtato nel mio mondo. Le parole non mi riporteranno Uri, ma io ho scelto l' arte di scrivere e devo andare avanti. Non è un caso che Caduto fuori dal tempo abbia una parte in poesia. Non ce la facevo in un altro modo, mia moglie che è psicologa mi ha fatto notare che la poesia è la cosa più vicina al silenzio». 

Rushdie: «Sì ho pensato di smettere. Per disappunto. Due mesi dopo la fatwa. Mi chiedevo:a che serve scrivere 250 mila parole, sprecare cinque anni, se poi qualcuno ti condanna in nome di un estremismo fanatico che vuole sono pugnalarti e ammazzarti e non dialogare. Ma avevo fatto la promessa a mio figlio e questo dico ai padri: cercate di mantenere la parola con i vostri ragazzi. L' ho fatto per lui e alla fine ha salvato anche me». 
Poi David con dolcezza gli chiede: quanto è alto tuo figlio Milan e cosa studia? E l' uomo dall' India e quello di Israele si abbracciano.

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