giovedì 31 gennaio 2013

Voci dal carcere: le cose perdute



Chi  meglio di un detenuto potrebbe dirlo?
Il detenuto è quello che oggi ha più tempo di tutti:  24 ore al giorno in una cella …a voglia di riflettere!
Fuori raramente ci pensi perché quello che perdi  subito ne trovi un altro.
Il detenuto pensa. Ha tempo. Tanto tempo.
A volte le  cose perdute sono tante:  quelle materiali e quelle morali.
E viene in mente la prima cosa: l'infanzia, le scampagnate con gli amici con il famoso mangiadischi. Ve lo ricordate? Così colorato! Lo mettevi su un tavolo e si ballava e cantava. Con  il primo amore e  il primo bacio.
Poi le gite in campagna con la seicento Fiat. Eravamo una famiglia numerosa e  tutti dentro e su un prato si mangiava il cibo preparata dalla mamma e l’anguria  nel fiume per tenerla in freddo.
Che bei momenti.
La prima macchina che mi hanno regalato i miei genitori: una mini minor gialla con tettino nero. Poi  il famoso telefono a gettoni e ti riempitivi la tasca di quei gettoni per chiamare la tua fidanzatina.
Mi ricordo che a volte nel paese mentre eri chiuso nella cabina, le persone da fuori facevano commenti. In paese si sa tutto  di tutti. Pensa: un giovane che quasi sempre alla stessa ora telefonava,  chi mai poteva chiamare e parlare per ore se non alla fidanzata? E via con i commenti.
Il paese: anche quello si è perso
Tornando alla mia infanzia:  il famoso motorino e insieme ad altri ragazzi raggiungevamo il mare. Una Vespa 50 o il Ciao,  il famoso Ciao.
Andavamo e si tornava: 90 km ma era bello;  aria pulita tante piccole strade ma poche buche. Oggi siamo nel 2012 alle soglie del 2013 ed è tutto il contrario.
Quanti bei ricordi!
E’ bello anche ricordare quando si andava all'oratorio,  tutti insieme per giocare a calcio a imparare le preghiere.
Dove sono andate a finire queste cose e perché non devono tornare più?
Si era felici con poco.
Si sono persi i veri valori.
Io oggi mi rendo conto che la mia vita l'ho ritrovata. Sono un uomo diverso.
Prima pensavo al potere e a chi aveva più soldi e non ti importava come li facevi. Oggi mi sono ripreso tutte le cose che avevo perduto e spero di non perderle più.
Ho ritrovato la mia famiglia,  mia moglie e qualche amico;  come si dice pochi ma buoni.
Oggi che ho ritrovato tutto. Non fatemi perdere la fiducia. Grazie.


domenica 27 gennaio 2013

L'amicizia è un cactus


Quando un cactus comincia a inclinarsi da una parte fa crescere un braccio dall'altro lato, per raddrizzarsi. Poi, quando tende a piegarsi da quel lato, fa crescere un braccio dalla parte opposta. E così via. Ecco perché li vedi anche con diciotto bracci. Un cactus tenta continuamente di star su dritto. Una cosa che cerca così disperatamente di mantenere l’equilibrio merita ammirazione”. 


Da Elisabetta

sabato 26 gennaio 2013

Anni sprecati

A quindici anni ne vuoi avere trenta.                               15                         


A trent’anni vuoi i trenta di qualcun altro.                      30

A cinquanta rivuoi i tuoi trent’anni.                                            50

A settanta ne vorresti venti di meno.                                                   70

A cent’anni scopri che se non avessi sempre voluto un’età                            100
diversa da quella che avevi, forse, avresti vissuto.

 

sabato 19 gennaio 2013

Restano le parole, dice Tabucchi

A. Tabucchi, Tristano muore

E per restare ci vogliono le parole, che continuino a farla essere la vita, la testimonino. Non è vero che verba volant. Verba manent . Di tutto ciò che siamo, di tutto ciò che fummo, restano le parole che abbiamo detto, le parole che tu ora scrivi, scrittore, e non ciò che io feci in quel dato luogo, in quel dato momento del tempo. Restano le parole …  le mie … soprattutto le mie .. le parole che testimoniano.
 

giovedì 17 gennaio 2013

Rusdie e Grossman su dolore e scrittura


Intervista a Rushdie e Grossman (Repubblica 18 novembre 2012)


Ci siamo salvati scrivendo 'Non ci lasceranno senza parole'

 

Il dolore ha mai spento la vostra scrittura? 

Grossman: «Ci è andato molto vicino. Nel 2006 è morto mio figlio Uri, soldato.E io ero perso, vuoto, esiliato da tutto e tutti. La mia vita era deformata, non c' era più nulla di garantito, né più nulla da riparare. Stavo seduto senza trovare le parole. Poi ho pensato che io vivo nella letteratura, è un dono, è un privilegio: e le parole hanno una loro magia, sanno essere ironiche, fantasticare anche nei momenti peggiori. Ma tornando a Freud, che anch' io stimo come scrittore, la psicanalisi se vede un uomo annegare corre a salvarlo, io invece voglio affondare con lui. Per me scrivere è questo, è affrontare intensamente le emozioni, non sfuggirle, e così mi sono ributtato nel mio mondo. Le parole non mi riporteranno Uri, ma io ho scelto l' arte di scrivere e devo andare avanti. Non è un caso che Caduto fuori dal tempo abbia una parte in poesia. Non ce la facevo in un altro modo, mia moglie che è psicologa mi ha fatto notare che la poesia è la cosa più vicina al silenzio». 

Rushdie: «Sì ho pensato di smettere. Per disappunto. Due mesi dopo la fatwa. Mi chiedevo:a che serve scrivere 250 mila parole, sprecare cinque anni, se poi qualcuno ti condanna in nome di un estremismo fanatico che vuole sono pugnalarti e ammazzarti e non dialogare. Ma avevo fatto la promessa a mio figlio e questo dico ai padri: cercate di mantenere la parola con i vostri ragazzi. L' ho fatto per lui e alla fine ha salvato anche me». 
Poi David con dolcezza gli chiede: quanto è alto tuo figlio Milan e cosa studia? E l' uomo dall' India e quello di Israele si abbracciano.

mercoledì 16 gennaio 2013

Una storia dal carcere


Quanti pensieri, questa sera!

“Quanto a lungo debbo ancora abbaiare prima che vi rendiate conto che il nostro  giardino c'è un intruso,” e questo è quello che Nerone, il mio bel cagnolone, deve aver pensato quella sera che ebbe la malaugurata sfortuna di scontrarsi con un riccio.
Nerone è sempre stato piuttosto curioso e poco disponibile ad accogliere intrusi nel proprio territorio e, senza pensarci, è corso a far capire al riccio che non era gradito ma, ahimè, lui, il riccio, era di parere contrario o forse semplicemente preferiva le buone maniere.
Anche Nerone le conosceva ma davanti all'istinto di protezione ben poco c'è da dire. Esco. Voglio capire il perché del suo incessante abbaiare.
Mi avvicino.
Mi si presenta a un bella dilemma:a salvare Nerone dal riccio o il riccio  da Nerone?
Opto per  allontanamento ma ormai il danno è già stato fatto.Solo il mio bel cagnolone, tutto preso dall'enfasi, non se ne era reso conto che aveva tanti aculei sul suo bel nasino. Io porto in casa il cane e mio marito, protetto da un paio di guanti, prendere il riccio e mi raggiunge.
E’ lì che mi accorgo della bellezza del riccio. Seppure impaurito sembrava osservarci pensieroso. Forse si stava domandando “Sono anche questi due poco ospitali come l'altro o posso stare tranquillo?”
Il mio cane guaiva, poverino, mentre con una pinzetta cercavo di togliergli gli aculei. Ad operazione finita, dopo averlo disinfettato, tante coccole. Ero preoccupata per lui e non mi importava un piffero dell'ospitalità.
Ma tornando al riccio, sì, era una femmina, era troppo carina. Mio marito l'aveva portata in un prato vicino e, siccome era tanto educata, si è girata a mo' di ringraziamento.

P.M.

martedì 15 gennaio 2013

Inno alle donne

Se non l'avete ancora letto, ecco voi un inno alle donne. Da ricordare.

L’AMACA del 13/01/2013 (Michele Serra).

“Era più intelligente di me, approfondiva mentre io sono superficiale”. Di tutte le parole d´amore spese per Mariangela Melato, queste di Renzo Arbore (raccolte da Silvia Fumarola per Repubblica) mi hanno commosso più di ogni altra. Perché dicono, delle donne, la cosa più importante ma non sempre la più detta: che le donne sono, in prevalenza, persone serie. E che la loro serietà (nei sentimenti, nel lavoro, nel maneggiare le cose della vita) è spesso di esempio e di soccorso a noi maschi. Forse perché la gestione del talento, nelle donne, richiede fatica doppia; forse perché, dall´alba dei secoli, mentre noi si andava a caccia, o in guerra a sbudellare il prossimo e a farci sbudellare, o a navigare per mesi e anni in cerca d´oro e di conquiste, loro restavano a casa e avevano molto tempo per pensare, mettendo a frutto la loro solitudine; fatto sta che, proprio come dice Arbore, le donne “approfondiscono”. Nel saluto di un uomo allegro (e intelligente) alla donna della sua vita, l´omaggio alla profondità suona, a sua volta, profondo. Umile e profondo. Riconoscente e profondo. Le donne, per nostra fortuna, sono contagiose.

Da La Repubblica del 13/01/2013.

giovedì 10 gennaio 2013

Voci della comunità


Sporca di pelle

La follia è uno stato di grazia,  uno stato dell'elevazione della coscienza entro la quale anime inconsapevoli vagano nel principio del nulla che li rende eterni bianchi... e quel gelo senza macchia dentro di essi sfiora  l'essenza dell'assoluto con la veemenza del fuoco sulle sterpaglie da autunno.  Non a tutti sono visibili i colori del vento e si soffermano sull'arcobaleno.
Un giorno un albero mi disse che non è cieco colui che non vede,  non è sordo colui che non sente ma chi non sa vedere oltre le parole e chi non sa sentire oltre lo sguardo.
La realtà è un fuoco che scioglie il gelo delle anime lasciando scoperto l'asfalto delle nostre paure.
Ecco …  la follia ti prende suprema, un'entità superiore che sorvola quell'asfalto.
Colui che è normale trascorre la propria vita camminando in equilibrio su quel suolo scivoloso e ripetutamente cade  sanguina ….. e quel sangue si sporca, si macchia, si mescola ad un suolo insano,  patologico, infetto.
Quel sangue è la mia pelle della quale io mi vesto, della quale io mi copro per non sentire freddo, della quale non so spogliarmi.
Vorrei essere davvero sorda e davvero cieca ma non lo sono. Io vedo i colori del vento e non mi soffermo sull'arcobaleno. So ascoltare lo sguardo o vedere le parole ….  quelle non dette, quelle che non si possono o non si vogliono dire.
Capisco l'incomprensibile, spiego l’inspiegabile, vivo di sfide perché  nulla è impossibile, niente non si può.
Le regole  le detta la pelle. Sulla mia pelle ci sono scritte fiumi di parole che non tutti sanno leggere … la mia pelle è la mia bocca, i miei occhi …
Sono fatta di pelle, di carne e di vene dove  scorre sangue bollente e la pelle brucia, brucia così tanto che la mia anima è diventata cenere.

E.R.




mercoledì 9 gennaio 2013

Voci dal carcere

Lo stato delle carcer italiane é finalmente davanti agli occhi di tutti dopo la condanna dell'Unione Europea per i diritti degli uomini.
Per festegiare vi propongo una ricetta- e non solo- apparsa su 'Bandiera gialla' di  Kullau Gazmend, un detenuto del carcere bolognese della 'Dozza'. 


Una delle cose che ci danno più conforto nella nostra vita in carcere sono i volontari dell’AVOC. Questa è un’associazione che si occupa di aiutare le persone detenute che hanno bisogno di servizi, di assistenza e di tutela. Ad esempio, si occupano di darti un alloggio se devi uscire dal carcere e non hai una casa, oppure se chiedi un permesso premio e non hai un posto dove andare a dormire; a tutto questo e altro ci pensano loro.
Questo è per noi un grande aiuto e un esempio di umanità, siamo felici che in questo mondo ci siano persone che si occupano in modo volontario delle esigenze dei detenuti. Io, in particolare, ho conosciuto queste persone tramite un corso di autobiografia che stanno tenendo presso il carcere dove sono detenuto. Devo dire che sono delle persone veramente speciali. Mi colpisce il loro entusiasmo per la vita, il loro modo di trasmettere le emozioni, i sorrisi e il coraggio che dimostrano nel venirci a trovare in questo posto che dal mondo esterno è visto con altri occhi. Sono contento che non si annoino con i nostri problemi, anzi ci ascoltano con affetto e attenzione come se fossimo i loro figli. Con le loro parole di conforto ci danno coraggio e speranza e voglia di ritornare a vivere e ricominciare da capo.
Per ringraziare queste meravigliose persone per i momenti che ci hanno regalato come uomini liberi senza sbarre, dedico loro la ricetta di un dolce al cioccolato che abbiamo fatto l’altro giorno.

Ingredienti
100 gr cioccolato fondente
100 gr farina 00
150 gr zucchero
3 uova
50 gr di burro
Sale
Zucchero a velo e vaniglia

Preparazione
Sciogliere il burro con il cioccolato a bagnomaria mescolando fino ad ottenere un composto liquido. In una ciotola sbattere le uova con lo zucchero, aggiungere la farina e un pizzico di sale, dopo aggiungere la crema di cioccolato e girare tutto per 10 minuti. Versare tutto in una teglia imburrata e cuocere per 20 minuti in forno a 160°. Al nostro forno (fai da te) in 25- 30 minuti è pronta. Dopo averla sfornata, facciamola raffreddare e dopo spolverizziamo sopra lo zucchero a velo (buona anche con la panna montata).

Buon appetito e grazie a tutti coloro che ci dedicano il loro tempo.

 

martedì 8 gennaio 2013

Come sarà il 2013? Gianni Rodari interroga un indovino



Indovinami, indovino
tu che leggi nel destino:
l’anno nuovo come sarà?
Bello, brutto, o metà e metà?
 

“Trovo stampato nei miei libroni
che avrà di certo quattro stagioni,
dodici mesi, ciascuno al suo posto,
un carnevale e un ferragosto,
e il giorno dopo del lunedì
avrà sempre un martedì.
 
Di più per ora scritto non trovo
nel destino dell’anno nuovo:
per il resto anche quest’anno
sarà come gli uomini lo faranno”.


                                Gianni Rodari

 

domenica 6 gennaio 2013

Voci dal carcere . Storie di F. arrivato a Lampedusa


F.
I  miei amici sono come i miei fratelli.  Sono ragazzini per bene, rispettosi e bravissimi,  interessanti e molto educati.  Ero un giovanissimo ragazzo di 16 anni, più o meno. Studiavo in una scuola secondaria nel mio paese in Africa  ovest. A scuola ho conosciuto due ragazzi della mia età e con lo stesso livello in accademia. Abbiamo passato  sempre circa sei giorni alla settimana a scuola insieme e ci siamo uniti. Il nostro comportamento nella scuola e anche fuori della scuola era ottimo. Le nostre vite erano esemplari. Mi rendo conto che per tanti altri ragazzi eravamo famosi per il  nostro atteggiamento e per il nostro impegno accademico. Eravamo nella squadra di calcio e giocavamo abbastanza bene. Io gioco in difesa,  l'altro, che  si chiama John Choca,  in centro  e William in attacco. Ci siamo divertiti molto durante una partita perché i miei amici segnavano i gol. Durante il terzo semestre dell'anno scolastico cominciava il  torneo di calcio regionale e siamo nella prima squadra che rappresenta la nostra scuola. Siamo i campioni e abbiamo alzato il trofeo per due volte.

Spesso parlavamo tra di noi del nostro futuro: come possiamo affrontare la vita dopo la scuola. La vita dopo la scuola é quando diventiamo più grandi.

Ci parliamo anche delle ragazze perché ognuno era orgoglioso di avere una ragazza della stessa scuola e con lo stesso livello in accademia. Le nostre ragazze sono belle e molto simpatiche. I miei amici venivano spesso a casa nostra anche io andavo a casa loro. Si sono conosciuti anche  i nostri genitori e a tutte le famiglie e ai miei genitori piaceva la nostra amicizia perché ormai siamo già come una famiglia. La mia famiglia nel weekend mi chiede di invitare i miei amici per mangiare insieme a noi.
Oggi vivo in Italia. Vivo un'altra vita,  diversa ma i miei amici sono nel mio pensiero

sabato 5 gennaio 2013

Voci dal carcere Storia di F. che é arrivato a Lampedusa.

Per chi non l'ha letta l'anno scorso, questa é la storia di F. che dalla Nigeria é arrivato a Lampedusa.

Mi chiamo F. U., nato il 22 agosto 1984 in un paese che si chiama Nmewi a Anambra in Nigeria. Sono  del Biafra che e' una parte della Nigeria del sud est e sud sud della Nigeria ho una famiglia numerosa eravamo 10 in totale sette parenti e due genitori. Nel 1995 e' morto mio fratello maggiore in un incidente a Lagos. La mia infanzia non è molto bella e divertente perché volevo studiare fino all'università ma non riesco a farlo perché i miei genitori non sono in grado di portare tutti noi in fondo per problemi finanziari. Nel 2004 e 2005 è scoppiato il conflitto tre Biafra e Nigeria. Era il leader di Massob Dr Ralph Uwazrike. Hanno  alzato la bandiera e cantavano l'inno nazionale del Biafra. Nel 2005 dopo tutto questo la gente cominciava a fare le proteste per la liberazione del Biafra così arriva la polizia, la squadra mobile,  con armi pesanti e sparano contro i manifestanti. In quel giorno sono morte sette persone, due della polizia e cinque fra il popolo. Dopo questo conflitto la polizia entra nella città e faceva la perquisizione a ogni casa. Entravano nella nostra casa e accusavano  perché noi abbiamo documenti del  Biafra. Hanno arrestato me e mio fratello maggiore. Volevano anche arrestare mio padre per questo mi sono rifiutato e ho combattuto contro la polizia. Mi hanno picchiato di brutto. Dicevano che  io sono uno dei più cercati nella società. Mi hanno portato nella caserma per picchiarmi e torturarmi fino a quando non respiravo più. Sono scappato dalla finestra del bagno correvo come se mi venisse dietro la polizia sono finito in un altro paese dove abitava la famiglia di mia madre dopo tre mesi nella casa della famiglia di mia madre ho avuto la notizia che veniva la polizia in casa nostra mi cercava per arrestarmi e portarmi  in carcere. Per questo motivo la mia famiglia mi ha dato il consiglio che magari potevo lasciare il paese per ora e mi sono trasferito verso il nord della Nigeria. Il 13 febbraio 2006 ho lasciato il paese per andare in Libia via Niger. Dopo  due giorni sono arrivato  in una città che si chiama Agadiz. Siamo  stati due settimane intere in Agadir. Siamo stati due settimane intere ad aspettare l'autobus per spostarci verso Duruku ma alla fine siamo andati  con il camion e con tanta fatica e sofferenza dopo quattro giorni di viaggio ci siamo fermati due giorni a Duruku.

La serata del secondo giorno siamo partiti Mara questa volta siamo in quattro Cruiser. Viaggiavamo verso la Libia e in ogni Cruiser circa 30 o 32 persone dopo due giorni di viaggio siamo arrivati in un posto che si chiama Rebel Camp  dove ci sono i soldati del Niger per proteggere i loro territori. Ci siamo fermati il per pagare prima di attraversare il confine oppure per mangiare e riposare e anche per avere informazioni dai soldati  perché siamo già vicini alla Libia. Siamo  rimasti lì per tre giorni e poi partiamo di nuovo circa alle otto di notte. La seconda notte ci siamo fermati per alcune ore in "No man's land"  il confine tra Niger e Libia. Quella notte ci siamo preparati perché  il viaggio diventerà più duro. Si'  perché ci sono tanti soldati libici con armi pesanti.

Dopo la mezzanotte siamo entrati nei territori libici e verso le tre o alle quattro di pomeriggio noi non sappiamo che siamo già avvistati dai soldati e loro cominciano a sparare. Siamo bloccati fermati catturati. Siamo massacrati di botte. Ci portano via i soldi e tutta la nostra roba . siamo portati in un posto aperto nel deserto mangiavamo  solo una volta al giorno. Siamo torturati durante le giornate con il vento troppo forte e la notte con aria freddissima e siamo rimasti lì sette giorni. La mattina dell'ottavo giorno siamo trasferiti in una zona militare e siamo stati lì  altri sette giorni. Alla fine siamo portati in una struttura che si chiama Zanzi, il posto per le espulsioni. Siamo più di 1000 persone divise in tre stanze. Veniamo da  qualsiasi paese africano e siamo chiusi  quasi senza cibo e acqua. In tre settimana sono morte due persone per soffocamento e la fame davanti ai nostri occhi. La  polizia faceva il business. Chi ha i soldi pagava  $ 100 o 140 dinar  per avere la libertà. Chi non li ha rimane prigioniero. Sono  stato lì quasi tre mesi e sono rimasto senza soldi. Arriva un giorno e la sera sono scappati  due ragazzi. La notte circa alle 11.30 sono scappato  anche io con un ragazzo che mi viene dietro. E' scattato l'allarme e è arrivata subito la polizia con due grandi Cruise4x4. Correvano ed erano più  veloci di me. Quella  notte io ho visto il miracolo e la salvezza del Signore perché sono stato nascosto sotto un albero e  dopo quasi due ore che loro mi cercavano e non mi trovavano sono tornati indietro.

Dopo alcune ore ho recuperato un po' di energia e ho  trovato il tubo d'acqua e ho bevuto un po' e ho cominciato a camminare in mezzo al deserto per arrivare alla città che si chiama Gatroni. Sono arrivato in questa città circa alle 5.30 o alle 6 subito ho trovato degli amici. Sono uscito con loro per cercare il lavoro per sopravvivere e sistemarmi. Dopo un mese ho trovato un po' di soldi e sono andato a vivere a Sabha e  sono stato lì due mesi. Lavoravo in un auto  lavaggio. Dopo  due mesi ho deciso di andare a Tripoli. Sono andato e ho trovato subito il lavoro in un lavaggio auto  di un amico. Dopo cinque o sei mesi a Tripoli ho visto che è la gente veniva in Italia con la barca via mare. Tutti gli amici vogliono andare ma avevo paura del mare ma non voglio tornare indietro. A novembre 2006 ho pagato $ 500 da un amico che ha il padrone che faceva il business per  mandare la gente in Europa ma alla fine siamo fregati e non riesce a partire. Così  sono tornato a cominciare a lavorare fino all'agosto. La volta dopo ho pagato $ 1000 con un altro gruppo di persone. In agosto siamo partiti da una città vicino a Tripoli si chiama Garapoli.  Siamo  arrivati alla riva del mare cerca a mezza notte e poi ci siamo sistemati. La barca metteva il cibo e la benzina. Tutti dentro la barca e partiamo circa alle tre di mattina. Il primo giorno di pomeriggio abbiamo perso la direzione dopo alcune ore siamo riusciti a recuperare.  La notte ci siamo persi di nuovo e siamo in grandissima difficoltà'.  Siamo fermi, il mare è brutto con il vento forte. La mattina circa alle tre o alle quattro siamo vicinissimi a Tunisi perché riesci  a vedere le macchine per strada.

Siamo rincuorati di nuovo. La mattina con l'aiuto del GPS e la bussola  cominciamo di nuovo a seguire il nostro corso per arrivare in Italia. Viaggiamo tutta la mattina e il pomeriggio siamo vicini all'isola di Lampedusa. Circa alle cinque con tanta fatica paura e rischio ma alla fine siamo tutti salvati e questa è la mia storia.

venerdì 4 gennaio 2013

Da Lampedusa


 Ricevo da Anghiari
 
 
Lettera che il nuovo Sindaco di Lampedusa ha scritto all'Italia e all'Europa.

Ogg: Lettera del Sindaco di Lampedusa

Sono il nuovo Sindaco delle isole di Lampedusa e di Linosa. Eletta a
maggio 2012, al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri di
persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa e questa per me è
una cosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello di dolore.
Abbiamo dovuto chiedere aiuto attraverso la Prefettura ai Sindaci della
provincia per poter dare una dignitosa sepoltura alle ultime 11 salme; il Comune non aveva più loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti una domanda: quanto deve essere grande il cimitero della mia isola?
Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere
considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l'idea, per
esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini
di 11 e 13 anni, possano morire tutti insieme, come sabato scorso, durante un viaggio
che avrebbe dovuto essere per loro l'inizio di una nuova vita. Ne sono
stati salvati 76 ma erano in 115, il numero dei morti è sempre di gran lunga
superiore al numero dei corpi che il mare restituisce.
Sono indignata dall'assuefazione che sembra avere contagiato tutti,
sono scandalizzata dal silenzio dell'Europa che ha appena ricevuto il Nobel
della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una
vera e propria guerra. Sono sempre più convinta che la politica europea
sull'immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente. Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è
tuttora l'unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare
debba essere per l'Europa motivo di vergogna e disonore. In tutta questa
tristissima pagina di storia che stiamo tutti scrivendo, l'unico motivo di orgoglio
ce lo offrono quotidianamente gli uomini dello Stato italiano che salvano
vite umane a 140 miglia da Lampedusa, mentre chi era a sole 30 miglia dai naufraghi,
come è successo sabato scorso, ed avrebbe dovuto accorrere con le velocissime
motovedette che il nostro precedente governo ha regalato a Gheddafi, ha
invece ignorato la loro richiesta di aiuto. Quelle motovedette vengono
però efficacemente utilizzate pe r sequestrare i nostri pescherecci, anche
quando pescano al di fuori delle acque territoriali libiche.
Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze
preposte al soccorso e all'accoglienza, che dà dignità di esseri umani
aqueste persone, che dà dignità al nostro Paese e all'Europa intera.
Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i
telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato.
Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato
durante una vacanza".

Giusi Nicolini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

giovedì 3 gennaio 2013

Szymborska, Vermeer e la fine del mondo

Elisabetta ci ha mandato questa poesia

Vermeer


Finchè quella donna del Rijksmuseum
nel silenzio dipinto e in raccoglimento
giorno dopo giorno versa
il latte dalla brocca nella scodella,
il Mondo non merita
la fine del mondo
 
Wislawa Szymborska

mercoledì 2 gennaio 2013

L'albero degli amici

Giovanna mi ha mandato questo testo.
Esistono persone nelle nostre vite che ci rendono felici per il semplice caso di avere incrociato il nostro cammino.

Alcuni percorrono il cammino al nostro fianco, vedendo molte lune passare, gli altri li vediamo appena tra un passo e l'altro.

Tutti li chiamiamo amici e ce sono di molti tipi.

Ciascuna foglia di un albero rappresenta uno dei nostri amici.

Alcuni sono sinceri, sono veri. Sanno quando non stiamo bene, sanno cosa ci fa felici.

Ma ci sono anche quegli amici di passaggio, talvolta una vacanza o un giorno o un’ora.

Non possiamo dimenticare gli amici distanti, quelli che stanno nelle punte dei rami e che quando il vento soffia appaiono sempre tra una foglia e l'altra.

Il tempo passa, l'estate se ne va, l'autunno si avvicina e perdiamo alcune delle nostre foglie, alcune nascono l'estate dopo, e altre permangono per molte stagioni.

Ma quello che ci lascia felici e che le foglie che sono cadute  continuano a vivere con noi, alimentando le nostre radici con allegria.

Ti auguro, foglia del mio albero, pace, amore, fortuna e prosperità.

Oggi e sempre.... semplicemente perché ogni persona che passa nella nostra vita è unica e sempre lascia un poco di sé e prende un poco di noi.

Ci saranno quelli che prendono molto, ma non ci sarà chi non lascia niente.

Questa è la maggior responsabilità della nostra vita e la prova  evidente che due anime non si incontrano per caso.