sabato 28 aprile 2012

Le vostre storie


LA MIA ESPERIENZA DELLA MORTE

RICORDO DI  MIA MADRE E MIA NIPOTE LARA  
17 FEBBRAIO 2012

Ho vissuto la morte attraverso l’esperienza personale di assistenza a malati terminali, come volontaria dell’ADVAR(Assistenza Domiciliare Gratuita “Alberto Rizzotti” Onlus Treviso). Nel febbraio del 1991, da sola, ho chiuso gli occhi a mio padre, a casa, nel suo letto, dove ero riuscita a portarlo da alcuni giorni, dopo una breve permanenza in ospedale. I medici avevano diagnosticato una pronta guarigione, mentre io avevo capito che ci stava lasciando.

Ho poi assistito per sette anni, insieme a mio marito, mia mamma immobile nel letto, ma molto consapevole di essere a casa sua con i suoi cari, ed infine ho cercato di essere vicina a mia nipote Lara B., morta il 17 febbraio 2006, a soli 35 anni, di tumore al seno.

Credo che queste tre esperienze siano state, anche se diverse, molto importanti per la mia crescita come persona.

Il lungo calvario di mia madre iniziò nel 1991 dopo la morte quasi improvvisa di mio padre.  Un ictus, la maculopatia e la rottura del femore la obbligarono a letto per sette lunghi anni.

Non parlava più, disperata e non rassegnata, giaceva immobile nel letto senza poter comunicare anche se sono convinta che sapesse di essere nella sua casa ed infatti verso la fine della sua lunga malattia ritrovò un po’ di pace.

Non è stato facile assistere alla sua decadenza fisica, alla sua totale dipendenza dagli altri e, per sette anni, all’impossibilità di fare anche il più piccolo gesto in modo autonomo.

Quante volte mi sono chiesta se lei, persona vivace e attiva, avrebbe voluto vivere in quel modo? Era vita quel trascorrere giornate tutte uguali a letto, assistita ininterrottamente, ma incapace di comunicare con noi, anche solo attraverso un piccolo gesto? Era veramente consapevole del nostro affetto che le manifestavamo attraverso una carezza, un bacio e altre “coccole”? Quante cose avrebbe voluto dirci senza riuscirci?.

La sua tristezza e la sua disperazione e la rabbia si sono nel tempo attenuate, e lentamente, soprattutto nell’ultimo anno di vita, credo che abbia ritrovato la pace e così la sua morte è stato un passaggio sereno e a lungo cercato.

Per me è stata una grande lezione, molto dura a volte, con momenti di disperazione, di rabbia, ma anche con periodi di gran dolcezza. E’ una prova difficile diventare la “madre della propria madre”.

Ho imparato, assistendola, ad apprezzare tante piccole cose nel loro vero valore, a godere appieno di tutto quello che mi capitava, ero felice di poter ancora insegnare, di stare con i miei allievi e di continuare a svolgere il mio lavoro che mi ha sempre dato molte soddisfazioni.

L’aiuto incredibile di mio marito , di Elena ed Assunta mi hanno aiutato a tenere mia madre in casa e l’abbiamo difesa dalla medicalizzazione e dall’accanimento terapeutico anche perché, per sua e nostra fortuna, lei non aveva dolori.

Ho vissuto la sua malattia come un’esperienza dolorosa, ma preziosa perché ho imparato che la malattia modifica la vita in diverse misure e spesso scandisce i ritmi e ne condiziona le scelte. Infatti come dice Sottsass nella sua intervista a Stefano Boeri: «Perché in una malattia c’è sempre una zona di solitudine assoluta, anche se sei assistito meravigliosamente come mi accade in questi giorni, anche se vengono a trovarti molti amici: La malattia è un colloquio continuo con te stesso, su cosa sei e sarai».₁

Ho capito, in parte, il senso di paura e di abbandono che assale il malato terminale, il suo bisogno di ascolto e rispetto, ma la vita quotidiana con il suo ritmo, spesso frenetico, non concede tregua ed il tempo manca sempre.

Si evita di riflettere su un problema che alla fine riguarda tutti noi ed è difficile vincere le nostre paure ed ansie e decidere di stare vicino ad un nostro caro o a un amico che sta morendo. Le persone oggi si preoccupano soprattutto di trovare le parole adatte quando si avvicinano a un ammalato grave, ma le parole spesso non servono anche perché quali parole possono essere di conforto  ad una persona che si sta spegnendo?

 Sono i morenti che ci aiutano, noi dobbiamo, solamente, stare accanto a loro con un ascolto empatico, dimenticando le nostre paure, le nostre preoccupazioni quotidiane, la nostra fretta.

E’ necessario muoversi nel mondo dell’ammalato con delicatezza, ascoltare, dare e non chiedere nulla in cambio. Sono convinta che morire con dignità sia molto più importante che vivere qualche giorno in più “ nelle braccia fredde della medicina” che non hanno più nulla di umano.

Il poeta Charles Pèguy ha espresso in pochi versi tutto quello che una persona desidera avere negli ultimi giorni della sua vita: amore, ricordo, rispetto. In una parola, tutti noi vorremmo essere accompagnati alla morte con dignità e poter stringere la mano di una persona cara nel momento più difficile che dobbiamo affrontare.

L'amore non svanisce mai

la morte non è niente, io sono solo

Andato nella stanza accanto.

Io sono io. Voi siete voi.

Ciò che ero per voi lo sono sempre.

Datemi il nome che mi avete sempre dato.

Non usate un tono diverso.

Non abbiate un'aria solenne e triste

continuate a ridere di ciò che ci faceva ridere,



insieme. Sorridete, pensate a me, pregate per me.

Che il mio nome sia pronunciato in casa

come lo è sempre stato,

senza alcuna enfasi, senza alcuna ombra

di tristezza.

La vita ha il significato di sempre

il filo non si è spezzato.

Perchè dovrei essere fuori dai vostri pensieri?

Semplicemente perchè sono fuori dalla vostra

vista?

Io non sono lontano,sono solo dall'altro lato del cammino.

Charles Péguy ²



Un’altra dolorosa esperienza mi ha confermato che la malattia ti aiuta a capire che tutti alla fine abbiamo bisogno dell’altro ed è importante non scappare davanti a questa prova che, al contrario, va affrontata con coraggio: veramente”la malattia, può essere “un tempo per volere”.

Questo è il messaggio che mia nipote Lara ha lasciato a tutti noi: infatti, con grande forza d’animo e coraggio ha cercato di combattere il tumore maligno che l’aveva colpita ad appena 32 anni.

Sono sei anni che Lara  ci ha lasciati e quest’anno il suo anniversario cade di nuovo di venerdì , Lara è morta il 17 febbraio 2006.

La sua malattia si era presentata in modo subdolo nell’autunno 2002, ma all’inizio era stata sottovalutata, poi venne sottoposta a chemioterapia e, nella primavera, a mastectomia totale.

Lara reagiva bene, continuava a lavorare presso lo studio del padre ed era sostenuta in questa sua lotta impari da tutta la sua famiglia e dal suo ragazzo.

Un grande aiuto lo riceveva dal computer perché attraverso il suo blog dava forza e coraggio alle persone che le scrivevano e, soprattutto, trasmetteva un messaggio di fiducia e serenità.

₁S.Boeri, Ultima intervista a E.Sottsass,«Corriere della Sera»”2/1/2008

² C. Pèguy, Oeuvres poétiques complètes, Pléiade, Gallimard. Parigi 1957,p.32 .



Nel 2003 e nel 2004 la malattia aveva presentato fasi alterne,Lara era stata obbligata ad usare la carrozzella, non poteva più lavorare, poi nel 2004 alcune cure avevano migliorato la sua salute e riusciva a camminare anche se i dolori alle gambe erano molto forti a causa delle metastasi ossee.

Il calvario dei vari esami, da un centro all’altro, le creavano ansie incredibili e non c’erano mai risposte positive perciò mia nipote, nonostante la sua forza e voglia di lottare, cominciava a dare segni di stanchezza.

La domanda che continuava a farmi e che mi faceva molto soffrire era sempre la stessa:«Perché, zia Silvia, devo morire così giovane?»

Che   cosa potevo rispondere a questa domanda angosciante e senza risposta? Cercavo di ascoltarla in modo intenso e con empatia, trasmettendole tutto il mio affetto e la mia vicinanza; a volte riuscivo a calmarla altre volte, invece, piangevamo disperatamente insieme.

La sensibilità di Lara si era acuita moltissimo dopo la malattia e coglieva le sfumature, anche le più nascoste, nelle parole delle poche persone che, di tanto in tanto, l’andavano a trovare.

Mia nipote non sopportava più discorsi inutili e banali e preferiva restare sola, ma spesso mi chiedeva perché le persone non riuscivano o non volevano capire il suo enorme problema.

Dicembre 2005 gennaio 2006 furono mesi terribili, mia cognata Roma, la mamma di Lara passava notte dopo notte accanto a sua figlia, mio cognato Donatello, il fratello Claudio  ed il suo ragazzo Ernesto cercavano di esserle costantemente vicini senza risparmiarsi.

Il giorno 14 febbraio 2006 venne ricoverata all’ospedale di Jesolo e sottoposta a tutte una serie di cure e di trasfusioni: tutti eravamo convinti che le cure avrebbero dato il risultato sperato.

Improvvisamente la tragedia il giorno17 Lara entrò in coma, mio marito ed io arrivati all’ospedale di Jesolo trovammo Lara distesa nel letto con un viso dolcissimo sereno, ma senza nessun segno di vita.

Alle 18.20 Lara moriva senza riprendere conoscenza . Oggi 17 febbraio 2012 a sei anni dalla sua morte continuiamo a pensare a lei, alla sua breve vita, alle sue lunghe sofferenze e a tutto l’affetto che ci ha dato e soprattutto alla sua carica d’umanità che si è manifestata negli anni della malattia.

Queste due esperienze di dolore, sofferenza, malattia e morte mi hanno molto provato, ma nello stesso tempo mi hanno dato maggior forza e mi stanno aiutando nell’ascolto delle persone in difficoltà.

Mi auguro di poter aiutare le persone, amiche e amici che soffrono, per continuare l’opera che Lara aveva iniziato e portato avanti nei suoi anni di malattia.



Silvia Allasia Baione    Treviso 17 febbraio2012

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