LA MIA
ESPERIENZA DELLA MORTE
RICORDO DI MIA MADRE E MIA NIPOTE LARA
17 FEBBRAIO
2012
Ho vissuto
la morte attraverso l’esperienza personale di assistenza a malati terminali,
come volontaria dell’ADVAR(Assistenza Domiciliare Gratuita “Alberto Rizzotti”
Onlus Treviso). Nel febbraio del 1991, da sola, ho chiuso gli occhi a mio
padre, a casa, nel suo letto, dove ero riuscita a portarlo da alcuni giorni,
dopo una breve permanenza in ospedale. I medici avevano diagnosticato una
pronta guarigione, mentre io avevo capito che ci stava lasciando.
Ho poi
assistito per sette anni, insieme a mio marito, mia mamma immobile nel letto,
ma molto consapevole di essere a casa sua con i suoi cari, ed infine ho cercato
di essere vicina a mia nipote Lara B., morta il 17 febbraio 2006, a soli 35
anni, di tumore al seno.
Credo che
queste tre esperienze siano state, anche se diverse, molto importanti per la
mia crescita come persona.
Il lungo
calvario di mia madre iniziò nel 1991 dopo la morte quasi improvvisa di mio
padre. Un ictus, la maculopatia e la
rottura del femore la obbligarono a letto per sette lunghi anni.
Non parlava
più, disperata e non rassegnata, giaceva immobile nel letto senza poter
comunicare anche se sono convinta che sapesse di essere nella sua casa ed infatti
verso la fine della sua lunga malattia ritrovò un po’ di pace.
Non è stato
facile assistere alla sua decadenza fisica, alla sua totale dipendenza dagli
altri e, per sette anni, all’impossibilità di fare anche il più piccolo gesto
in modo autonomo.
Quante volte
mi sono chiesta se lei, persona vivace e attiva, avrebbe voluto vivere in quel
modo? Era vita quel trascorrere giornate tutte uguali a letto, assistita
ininterrottamente, ma incapace di comunicare con noi, anche solo attraverso un
piccolo gesto? Era veramente consapevole del nostro affetto che le
manifestavamo attraverso una carezza, un bacio e altre “coccole”? Quante cose
avrebbe voluto dirci senza riuscirci?.
La sua
tristezza e la sua disperazione e la rabbia si sono nel tempo attenuate, e
lentamente, soprattutto nell’ultimo anno di vita, credo che abbia ritrovato la
pace e così la sua morte è stato un passaggio sereno e a lungo cercato.
Per me è
stata una grande lezione, molto dura a volte, con momenti di disperazione, di
rabbia, ma anche con periodi di gran dolcezza. E’ una prova difficile diventare
la “madre della propria madre”.
Ho imparato,
assistendola, ad apprezzare tante piccole cose nel loro vero valore, a godere
appieno di tutto quello che mi capitava, ero felice di poter ancora insegnare,
di stare con i miei allievi e di continuare a svolgere il mio lavoro che mi ha
sempre dato molte soddisfazioni.
L’aiuto
incredibile di mio marito , di Elena ed Assunta mi hanno aiutato a tenere mia
madre in casa e l’abbiamo difesa dalla medicalizzazione e dall’accanimento
terapeutico anche perché, per sua e nostra fortuna, lei non aveva dolori.
Ho vissuto
la sua malattia come un’esperienza dolorosa, ma preziosa perché ho imparato che
la malattia modifica la vita in diverse misure e spesso scandisce i ritmi e ne condiziona
le scelte. Infatti come dice Sottsass nella sua intervista a Stefano Boeri: «Perché in una malattia c’è sempre una zona
di solitudine assoluta, anche se sei assistito meravigliosamente come mi accade
in questi giorni, anche se vengono a trovarti molti amici: La malattia è un
colloquio continuo con te stesso, su cosa sei e sarai».₁
Ho capito,
in parte, il senso di paura e di abbandono che assale il malato terminale, il
suo bisogno di ascolto e rispetto, ma la vita quotidiana con il suo ritmo,
spesso frenetico, non concede tregua ed il tempo manca sempre.
Si evita di
riflettere su un problema che alla fine riguarda tutti noi ed è difficile
vincere le nostre paure ed ansie e decidere di stare vicino ad un nostro caro o
a un amico che sta morendo. Le persone oggi si preoccupano soprattutto di
trovare le parole adatte quando si avvicinano a un ammalato grave, ma le parole
spesso non servono anche perché quali parole possono essere di conforto ad una persona che si sta spegnendo?
Sono i morenti che ci aiutano, noi dobbiamo,
solamente, stare accanto a loro con un ascolto empatico, dimenticando le nostre
paure, le nostre preoccupazioni quotidiane, la nostra fretta.
E’
necessario muoversi nel mondo dell’ammalato con delicatezza, ascoltare, dare e
non chiedere nulla in cambio. Sono convinta che morire con dignità sia molto
più importante che vivere qualche giorno in più “ nelle braccia fredde della
medicina” che non hanno più nulla di umano.
Il poeta
Charles Pèguy ha espresso in pochi versi tutto quello che una persona desidera
avere negli ultimi giorni della sua vita: amore, ricordo, rispetto. In una
parola, tutti noi vorremmo essere accompagnati alla morte con dignità e poter
stringere la mano di una persona cara nel momento più difficile che dobbiamo
affrontare.
L'amore non svanisce mai
la morte non è niente, io sono solo
Andato nella stanza accanto.
Io sono io. Voi siete voi.
Ciò che ero per voi lo sono sempre.
Datemi il nome che mi avete sempre dato.
Non usate un tono diverso.
Non abbiate un'aria solenne e triste
continuate a ridere di ciò che ci faceva
ridere,
insieme. Sorridete, pensate a me, pregate per
me.
Che il mio nome sia pronunciato in casa
come lo è sempre stato,
senza alcuna enfasi, senza alcuna ombra
di tristezza.
La vita ha il significato di sempre
il filo non si è spezzato.
Perchè dovrei essere fuori dai vostri pensieri?
Semplicemente perchè sono fuori dalla vostra
vista?
Io non sono lontano,sono solo dall'altro lato
del cammino.
Charles
Péguy²
Un’altra
dolorosa esperienza mi ha confermato che la malattia ti aiuta a capire che
tutti alla fine abbiamo bisogno dell’altro ed è importante non scappare davanti
a questa prova che, al contrario, va affrontata con coraggio: veramente”la malattia, può essere “un tempo per volere”.
Questo è il
messaggio che mia nipote Lara ha lasciato a tutti noi: infatti, con grande
forza d’animo e coraggio ha cercato di combattere il tumore maligno che l’aveva
colpita ad appena 32 anni.
Sono sei
anni che Lara ci ha lasciati e
quest’anno il suo anniversario cade di nuovo di venerdì , Lara è morta il 17
febbraio 2006.
La sua
malattia si era presentata in modo subdolo nell’autunno 2002, ma all’inizio era
stata sottovalutata, poi venne sottoposta a chemioterapia e, nella primavera, a
mastectomia totale.
Lara reagiva
bene, continuava a lavorare presso lo studio del padre ed era sostenuta in
questa sua lotta impari da tutta la sua famiglia e dal suo ragazzo.
Un grande
aiuto lo riceveva dal computer perché attraverso il suo blog dava forza e
coraggio alle persone che le scrivevano e, soprattutto, trasmetteva un
messaggio di fiducia e serenità.
₁S.Boeri, Ultima intervista a E.Sottsass,«Corriere
della Sera»”2/1/2008
² C. Pèguy, Oeuvres
poétiques complètes, Pléiade, Gallimard. Parigi 1957,p.32 .
Nel 2003 e
nel 2004 la malattia aveva presentato fasi alterne,Lara era stata obbligata ad
usare la carrozzella, non poteva più lavorare, poi nel 2004 alcune cure avevano
migliorato la sua salute e riusciva a camminare anche se i dolori alle gambe
erano molto forti a causa delle metastasi ossee.
Il calvario
dei vari esami, da un centro all’altro, le creavano ansie incredibili e non
c’erano mai risposte positive perciò mia nipote, nonostante la sua forza e
voglia di lottare, cominciava a dare segni di stanchezza.
La domanda
che continuava a farmi e che mi faceva molto soffrire era sempre la stessa:«Perché, zia Silvia, devo morire così
giovane?»
Che cosa
potevo rispondere a questa domanda angosciante e senza risposta? Cercavo di
ascoltarla in modo intenso e con empatia, trasmettendole tutto il mio affetto e
la mia vicinanza; a volte riuscivo a calmarla altre volte, invece, piangevamo
disperatamente insieme.
La
sensibilità di Lara si era acuita moltissimo dopo la malattia e coglieva le
sfumature, anche le più nascoste, nelle parole delle poche persone che, di
tanto in tanto, l’andavano a trovare.
Mia nipote
non sopportava più discorsi inutili e banali e preferiva restare sola, ma
spesso mi chiedeva perché le persone non riuscivano o non volevano capire il
suo enorme problema.
Dicembre
2005 gennaio 2006 furono mesi terribili, mia cognata Roma, la mamma di Lara passava
notte dopo notte accanto a sua figlia, mio cognato Donatello, il fratello
Claudio ed il suo ragazzo Ernesto
cercavano di esserle costantemente vicini senza risparmiarsi.
Il giorno 14
febbraio 2006 venne ricoverata all’ospedale di Jesolo e sottoposta a tutte una
serie di cure e di trasfusioni: tutti eravamo convinti che le cure avrebbero
dato il risultato sperato.
Improvvisamente
la tragedia il giorno17 Lara entrò in coma, mio marito ed io arrivati
all’ospedale di Jesolo trovammo Lara distesa nel letto con un viso dolcissimo
sereno, ma senza nessun segno di vita.
Alle 18.20
Lara moriva senza riprendere conoscenza . Oggi 17 febbraio 2012 a sei anni
dalla sua morte continuiamo a pensare a lei, alla sua breve vita, alle sue
lunghe sofferenze e a tutto l’affetto che ci ha dato e soprattutto alla sua
carica d’umanità che si è manifestata negli anni della malattia.
Queste due
esperienze di dolore, sofferenza, malattia e morte mi hanno molto provato, ma
nello stesso tempo mi hanno dato maggior forza e mi stanno aiutando
nell’ascolto delle persone in difficoltà.
Mi auguro di
poter aiutare le persone, amiche e amici che soffrono, per continuare l’opera
che Lara aveva iniziato e portato avanti nei suoi anni di malattia.
Silvia Allasia Baione Treviso 17 febbraio2012