martedì 9 luglio 2013

Campanilismo o grande amore?


Da Mirella
 
Io nella mia città ( se non è campanilismo questo?)



Via Ugo Bassi, sopra al bar Scaletto, ultimo piano, c’è la clinica privata del dr. Vigorelli, ginecologo, sono le 23.45 di martedì 26 novembre 1940, lì ho iniziato il mio viaggio, senza sapere di essere nella città più bella e simpatica che io conosca, Bologna.

Proseguo quel viaggio all’interno della mia città, ricordando:

La Bolognina, dove ho abitato per 18 anni, in via Franco Bolognese: i miei incontri con i luoghi che conosco, conoscevo,  come le mie tasche; prima in compagnia dei miei genitori, poi con la mia amica, i miei amici, mio marito ed i miei bambini.

Le scuole Cappelletti dove ho imparato ad amare la scuola. a 50 metri da casa mia; Via Tibaldi, dove abitavano: la nonna Virginia e le zie, dove andavo a giocare, prima sulle macerie della guerra, poi nel cortile ripulito, con i coetanei; Via Calvart dove c’era la fabbrica di mio padre, andavo nella pista che gli operai mi avevano predisposto perché potessi girare con la bicicletta senza pericolo; la parrocchia dell’Arcoveggio dove ho fatto la comunione, ma non l’ ho frequentata molto, li  non avevo amiche, preferivo andare al Sacro Cuore, c’erano le suore dove andavo ad imparare a ricamare, durante le vacanze.

Gli anni passano, iniziano le medie, vado a scuola in centro, in tram, a volte appesa fuori, era quasi un divertimento, a volte a piedi, in particolare quando c’era la neve ed il tram non andava; in compagnia della mia fedele amica, quante chiacchiere e quanti sogni, passando sul ponte della ferrovia; ci piaceva aspettare il passaggio di un treno a vapore per farci avvolgere dalla nuvola del fumo.
 
La Montagnola, luogo sicuramente più sereno di ora; quando non era tardi, ci sedevamo sulle panchine sotto agli alberi, poi via Indipendenza, Via Montegrappa fino a via Maggia dove frequentavamo la scuola media Gandino. Preferivamo via Indipendenza, via Marconi era troppo moderna, ed in via Indipendenza c’erano molte sale cinematografiche, l’Arena del Sole – il Metropolitan – il Fulgor ( dove al mattino della domenica proiettavano gli spettacoli per i ragazzi) e poi c'erano vetrine a non finire.

Le “mistocchinare” agli angoli delle strade ( grande attrattiva per Gabriella, la mia amica, non per me) davano una nota caratteristica nei mesi di inverno.

A tarda sera, anche nelle fredde notti d’inverno, all’uscita dalle sale cinematografiche o teatrali più rinomate, un piccolo grande vecchio, “la coscienza della città” – Padre Marella, che con tanta umiltà raccoglieva per i suoi ragazzi, la sua “città dei ragazzi”, a volte donava un sorriso, a volte vinto dalla stanchezza sembrava non accorgersi, ma c’era sempre un “grazie”, quando ti allontanavi, dopo avere lasciato cadere qualche moneta nel suo cappello.

Spesso andavo a passeggio in centro, mi piaceva vedere gli  angoli più caratteristici e antichi della città, luoghi dove avevano vissuto i miei nonni, Via Nosadella – Ca’ Selvatica – Via Zamboni. Un giorno, andai con amici a mangiare da Lamma, luogo caratteristico per noi studenti dell’ l’epoca. Era vicino a Via dell’Inferno, al Ghetto Ebraico e zone limitrofe.  Orgogliosa del mio giro, al rientro, come al solito raccontai a mia madre dove ero stata, anche in Via dell’Inferno e...
mi arrivò, prima, un sonoro ceffone, poi la spiegazione del perché,:non dovevo andare in quei luoghi; vi erano state tante case di tolleranza,  ma la legge Merlin era già stata approvata da anni ed il luogo era diverso da quello di una volta.

Altri ricordi: le scalate alla torre Asinelli, con la speranza di vedere il mare, ma si era comunque appagati da un panorama mozzafiato, non solo per i 97 metri di scalini, ma per quello che si vede di lassù, il cielo è più vicino e la città dai tetti rossi è ai tuoi piedi ; le passeggiate a San Luca, come in quella mattina con la scuola, quando andammo ad assistere all’eclissi totale di sole, il freddo ci penetrò e il panorama divenne senza colori.

Tante scalate al Colle, ma che fatica! 

Le gare di nuoto e corsa allo Stadio Comunale, per i tornei scolastici.

D’estate quando andavo in vacanza, sempre dai parenti a Genova, era una grande festa, ma al ritorno, dopo due mesi di assenza,  quando, dal finestrino del treno, scorgevo San Luca, mi batteva il cuore,  sapevo che ero a casa, ero a Bologna.

Via Cesare Battisti, Piazza Calderini i luoghi dove ho frequentato le scuole superiori, le lunghe camminate sotto al Pavaglione, i pomeriggi all’Archiginnasio a studiare, le  visite alle librerie Nanni e Cappelli alla ricerca dei “Bignami” che ci aiutavano a riassumere le materie studiate e le soste sul “Crescentone” la nostra meravigliosa Piazza Maggiore, qualche foto, ed il povero Nettuno, quante vestizioni in occasione della Festa delle Matricole!  Ricordo una volta, gli avevano messo un bikini bianco a pallini rossi.

Per vicissitudini famigliari a 18 anni ho lasciato la Bolognina, e ci siamo trasferiti fuori porta Saffi, di fronte all’Ospedale Maggiore, una Bologna più anonima e moderna, mi piaceva meno, ma dove c’è la famiglia c’è casa.

A volte, rare, andavo sul greto del fiume Reno,  che era molto più limpido di ora, a prendere il sole, ma non osavo entrare in acqua, avevo paura.

Dopo il diploma, dopo una parentesi di circa un anno durante il quale ho lavorato in centro città, ho trovato lavoro vicino all’aeroporto, ma, nel frattempo, avevo anche trovato marito, e non avendo più nessuno della mia famiglia, mi sono trasferita alle Due Madonne, dall’altra parte di Bologna.

Un’ ora per andare al lavoro, quattro volte al giorno, quattro ore di autobus e tanti  libri letti.

Sono arrivati i bambini, quindi nuovi itinerari, passeggiate in collina, al parco Talon, villa Ghigi, al Carnevale dei Bambini ai Giardini Margherita, passavo con loro dei sabati molto intensi, dovevo recuperare il tempo che mi mancava durante la settimana, ma ormai mi ero emancipata avevo preso la patente e Giampaolo si era dato da fare per trovarmi una “500”, era azzurra con il tettuccio nero, favolosa.

L’auto negli anni a venire è diventata una parte di me stessa, perché non so come avrei potuto fare: Rita andava a pattinaggio, Michele a nuoto, poi il catechismo, prima dell’uno, poi dell’altra, le scuole elementari alle Viscardi, le Medie alle Farini, le superiori, uno alle Aldini l’altra alle Sirani. Di corsa sempre attraverso la mia Bologna, che cambia e quasi non me ne accorgo, non più passeggiate in centro, la domenica si passa in casa a fare quei lavori che durante la settimana non si riescono a fare; i ragazzi sono cresciuti e le passeggiate le fanno con altre compagnie…………e poi si sposano…………. 

Gli anni passano, inesorabili e non capisco come mai sono tornata alle Viscardi, dove avevo cominciato a portare a scuola i miei bambini,……………. di fianco a me, per mano una testolina dai riccioli neri, un cicaleccio continuo mi racconta la sua giornata e………. mi chiama “nonna”; anche l’auto, la mia fedele amica,  è cambiata, e per tornare a casa  attraverso tutta la città. Ora sto in provincia, in campagna, è bellissimo,  mi hanno detto che sono “emigrata”, ma io sono e sarò sempre una cittadina di Bologna, una “bolognese doc” ovunque mi troverò.    

 

 

 

 

 

 

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