Da Mirella
Io nella mia città ( se non è campanilismo
questo?)
Via Ugo Bassi, sopra al
bar Scaletto, ultimo piano, c’è la clinica privata del dr. Vigorelli,
ginecologo, sono le 23.45 di martedì 26 novembre 1940, lì ho iniziato il mio
viaggio, senza sapere di essere nella città più bella e simpatica che io
conosca, Bologna.
Proseguo quel viaggio
all’interno della mia città, ricordando:
La Bolognina, dove ho abitato per 18 anni, in via
Franco Bolognese: i miei incontri con i luoghi che conosco, conoscevo, come le mie tasche; prima in compagnia dei
miei genitori, poi con la mia amica, i miei amici, mio marito ed i miei
bambini.
Le scuole Cappelletti dove
ho imparato ad amare la scuola. a 50 metri da casa mia; Via Tibaldi, dove
abitavano: la nonna Virginia e le zie, dove andavo a giocare, prima sulle
macerie della guerra, poi nel cortile ripulito, con i coetanei; Via Calvart
dove c’era la fabbrica di mio padre, andavo nella pista che gli operai mi
avevano predisposto perché potessi girare con la bicicletta senza pericolo; la
parrocchia dell’Arcoveggio dove ho fatto la comunione, ma non l’ ho frequentata
molto, li non avevo amiche, preferivo
andare al Sacro Cuore, c’erano le suore dove andavo ad imparare a ricamare,
durante le vacanze.
Gli anni passano, iniziano
le medie, vado a scuola in centro, in tram, a volte appesa fuori, era quasi un
divertimento, a volte a piedi, in particolare quando c’era la neve ed il tram
non andava; in compagnia della mia fedele amica, quante chiacchiere e quanti
sogni, passando sul ponte della ferrovia; ci piaceva aspettare il passaggio di
un treno a vapore per farci avvolgere dalla nuvola del fumo.
La Montagnola, luogo sicuramente più sereno di ora;
quando non era tardi, ci sedevamo sulle panchine sotto agli alberi, poi via
Indipendenza, Via Montegrappa fino a via Maggia dove frequentavamo la scuola
media Gandino. Preferivamo via Indipendenza, via Marconi era troppo moderna, ed
in via Indipendenza c’erano molte sale cinematografiche, l’Arena del Sole – il Metropolitan – il Fulgor ( dove al
mattino della domenica proiettavano gli spettacoli per i ragazzi) e poi c'erano vetrine a
non finire.
Le “mistocchinare” agli
angoli delle strade ( grande attrattiva per Gabriella, la mia amica, non per me)
davano una nota caratteristica nei mesi di inverno.
A tarda sera, anche nelle
fredde notti d’inverno, all’uscita dalle sale cinematografiche o teatrali più
rinomate, un piccolo grande vecchio,
“la coscienza della città” – Padre Marella, che con tanta umiltà raccoglieva
per i suoi ragazzi, la sua “città dei ragazzi”, a volte donava un sorriso, a
volte vinto dalla stanchezza sembrava non accorgersi, ma c’era sempre un
“grazie”, quando ti allontanavi, dopo avere lasciato cadere qualche moneta nel
suo cappello.
Spesso andavo a passeggio
in centro, mi piaceva vedere gli angoli
più caratteristici e antichi della città, luoghi dove avevano vissuto i miei
nonni, Via Nosadella – Ca’ Selvatica – Via Zamboni. Un giorno, andai con amici
a mangiare da Lamma, luogo caratteristico per noi studenti dell’ l’epoca. Era
vicino a Via dell’Inferno, al Ghetto Ebraico e zone limitrofe. Orgogliosa del mio giro, al rientro, come al
solito raccontai a mia madre dove ero stata, anche in Via dell’Inferno e...
mi
arrivò, prima, un sonoro ceffone, poi la spiegazione del perché,:non dovevo
andare in quei luoghi; vi erano state tante case di tolleranza, ma la legge Merlin era già stata approvata da
anni ed il luogo era diverso da quello di una volta.
Altri ricordi: le scalate
alla torre Asinelli, con la speranza di vedere il mare, ma si era comunque
appagati da un panorama mozzafiato, non solo per i 97 metri di scalini, ma
per quello che si vede di lassù, il cielo è più vicino e la città dai tetti
rossi è ai tuoi piedi ; le passeggiate a San Luca, come in quella mattina con la
scuola, quando andammo ad assistere all’eclissi totale di sole, il freddo ci
penetrò e il panorama divenne senza colori.
Tante scalate al Colle, ma
che fatica!
Le gare di nuoto e corsa
allo Stadio Comunale, per i tornei scolastici.
D’estate quando andavo in
vacanza, sempre dai parenti a Genova, era una grande festa, ma al ritorno, dopo
due mesi di assenza, quando, dal
finestrino del treno, scorgevo San Luca, mi batteva il cuore, sapevo che ero a casa, ero a Bologna.
Via Cesare Battisti,
Piazza Calderini i luoghi dove ho frequentato le scuole superiori, le lunghe
camminate sotto al Pavaglione, i pomeriggi all’Archiginnasio a studiare,
le visite alle librerie Nanni e Cappelli
alla ricerca dei “Bignami” che ci aiutavano a riassumere le materie studiate e
le soste sul “Crescentone” la nostra meravigliosa Piazza Maggiore, qualche
foto, ed il povero Nettuno, quante vestizioni in occasione della Festa delle
Matricole! Ricordo una volta, gli
avevano messo un bikini bianco a pallini rossi.
Per vicissitudini
famigliari a 18 anni ho lasciato la Bolognina, e ci siamo trasferiti fuori porta
Saffi, di fronte all’Ospedale Maggiore, una Bologna più anonima e moderna, mi
piaceva meno, ma dove c’è la famiglia c’è casa.
A volte, rare, andavo sul
greto del fiume Reno, che era molto più
limpido di ora, a prendere il sole, ma non osavo entrare in acqua, avevo paura.
Dopo il diploma, dopo una
parentesi di circa un anno durante il quale ho lavorato in centro città, ho
trovato lavoro vicino all’aeroporto, ma, nel frattempo, avevo anche trovato
marito, e non avendo più nessuno della mia famiglia, mi sono trasferita alle
Due Madonne, dall’altra parte di Bologna.
Un’ ora per andare al
lavoro, quattro volte al giorno, quattro ore di autobus e tanti libri letti.
Sono arrivati i bambini,
quindi nuovi itinerari, passeggiate in collina, al parco Talon, villa Ghigi, al
Carnevale dei Bambini ai Giardini Margherita, passavo con loro dei sabati molto
intensi, dovevo recuperare il tempo che mi mancava durante la settimana, ma
ormai mi ero emancipata avevo preso la patente e Giampaolo si era dato da fare
per trovarmi una “500”,
era azzurra con il tettuccio nero, favolosa.
L’auto negli anni a venire
è diventata una parte di me stessa, perché non so come avrei potuto fare: Rita
andava a pattinaggio, Michele a nuoto, poi il catechismo, prima dell’uno, poi
dell’altra, le scuole elementari alle Viscardi, le Medie alle Farini, le
superiori, uno alle Aldini l’altra alle Sirani. Di corsa sempre attraverso la
mia Bologna, che cambia e quasi non me ne accorgo, non più passeggiate in
centro, la domenica si passa in casa a fare quei lavori che durante la
settimana non si riescono a fare; i ragazzi sono cresciuti e le passeggiate le
fanno con altre compagnie…………e poi si sposano………….
Gli anni passano, inesorabili
e non capisco come mai sono tornata alle Viscardi, dove avevo cominciato a
portare a scuola i miei bambini,……………. di fianco a me, per mano una testolina
dai riccioli neri, un cicaleccio continuo mi racconta la sua giornata e………. mi
chiama “nonna”; anche l’auto, la mia fedele amica, è cambiata, e per tornare a casa attraverso tutta la città. Ora
sto in provincia, in campagna, è bellissimo,
mi hanno detto che sono “emigrata”, ma io sono e sarò sempre una
cittadina di Bologna, una “bolognese doc” ovunque mi troverò.