martedì 5 marzo 2013

Dalla Nigeria ....


Perché ho lasciato il mio paese 

Sono scappato  dal mio paese perché volevano sacrificarmi per un rito satanico al Dio della Terra. Intendo che volevano uccidermi e usare il mio sangue come sacrificio a un idolo occulto Dio della terra. Per esempio il fu Bola Igie, l’ex Attorney General (alto magistrato consulente del governo inglese) della Nigeria che voleva eliminare tutte queste culture sataniche è stato assassinato proprio in casa sua durante il giorno.

Io, una persona comune, sono come un giocattolo davanti a loro. Mi stanno ancora cercando, temo. Non voglio morire prima del tempo. Così sono scappato in Niger per circa 3 o 4 mesi. Ho conosciuto la mia ora scomparsa Jeoma in Niger; lei  mi osservava. Io non sapevo neanche che qualcuno mi stesse osservando. Mi è venuta vicino e mi ha chiesto perché ero così triste e stavo sempre da solo. Io le ho raccontato la mia situazione e lei mi ha spiegato perché lei aveva lasciato il paese. Mi ha detto che loro erano “Ossi”, che significa emarginati, degli intoccabili per la società. Nessuno vuole toccare quello che loro toccano. Erano umiliati, segregati e tenuti separati.  Anche questo fa parte di una cultura occulta e barbarica. Sentivamo pietà l’uno per l’altra. Poi cominciammo a spostarci insieme finchè decidemmo di lasciare il Niger per la Libia.

In Libia arrivammo a ‘Muzuk’, da lì a ‘Zuwara’, che è dopo Tripoli. Siamo stati a Zuwara dal 2004 al 2011.

Poi ci siamo innamorati. Lei è rimasta incinta e ha dato alla luce un bimbo, E.  che adesso non c’è più.  Dopo due anni è rimasta incinta di nuovo e ha dato alla luce un altro bimbo W. che, anche lui non c’è più.

Mi mancate tutti, possano le vostre anime gentili riposare in pace. Amen, nel nome di Gesù. Amen.

In tutto questo tempo lavoravo come muratore con un datore di lavoro di nome  Abusaalam Ali, un libico che fa contratti con imprese di costruzioni.

Poi è cominciata la guerra in Libia. Due mesi dopo, la guerra è arrivata a Zuwara . I militari armati sono arrivati a casa nostra al mattino presto. Dovevano essere quattro. Hanno stuprato quella che doveva diventare mia moglie, la donna  che ora non c’è più, la donna he  aveva partorito i miei due bimbi, che adesso non ci sono più..  Oh, mio Dio, come è orribile il mondo.  

Ci hanno separato e messo dentro a furgoni Toyota. Prima che ce ne rendessimo conto eravamo su una spiaggia. Hanno messo la mia famiglia su una barca insieme ad altre persone e la barca si è capovolta. I soldati – erano tantissimi – hanno cominciato a sparare. Così ho perso l’intera mia famiglia in mare: J., E. e W.. Sto scrivendo con lacrime di dolore che mi scendono dagli occhi,; c’è sofferenze e dolori in tutto me stesso. Mi mancate tutti. Possano le vostre anime gentili riposare nella pace perfetta. Dio sia con voi finchè ci rincontreremo. Amen. Nel nome di Gesù.

Alcuni giorni dopo i militari misero anche me e altri  che non conoscevo su una barca. Così sono arrivato in Italia a Lampedusa, il 7 maggio 2011. Rimasi sulla isola per circa tre giorni

Da là mi portarono a Bologna dove rimasi nel campo della Croce Rossa Prati di Caprara. Ero sempre solo perché pensavo alla famiglia che aveva perduto, tutti morti in mare.

Vivevano in pace con tutti nel campo; eravamo circa 137 uomini. la maggior parte nigeriani. I responsabili si accorsero  che stavo isolato e piangevo per  la mia famiglia;  videro la mia condizione che ero depresso e mi portarono al ospedale psichiatrico dove io rimasi per circa quattro giorni. Il dottore mi diede una terapia per la depressione e mi consigliò anche di non stare da solo. Dovevo muovermi e parlare alle persone con cui mi trovavo. Lo ascoltai e poi lui mi riconsegnò al campo.

Allora io cominciai a mettere in pratica quello che lo psicologo mi aveva detto di fare e prendevo la terapia che mi aveva prescritto. La Croce Rossa mi aiutava in tutto quello di cui avevo bisogno.

Possa Dio onnipotente continuare a benedirli. Gli sono grato e riconoscente.

Nominarono  un ragazzo chiamato S. come responsabile del campo dei rifugiati perché non si andasse individualmente a chieder quello di cui si aveva bisogno, per esempio spazzolino da denti, dentifricio, vestiti, scarpe, sapone eccetera. Tutti chiamavano S. “capo”. Anche io l'ho chiamata “capo”. Più tardi lui fu rimosso e sostituito con cinque altre persone. Non sapevo che S. era arrabbiato perché lo avevano rimosso con altri due ragazzi che lo aiutavano: V. e F.,  anche loro nigeriani.

Il 16 febbraio 2012 andai fuori e, sulla mia strada, vicino al pattume, vidi degli altoparlanti e un cacciavite. Li raccolsi e tornai al campo.

Era quasi notte. Portai tutto fuori in un passaggio dove cercai di accomodarli con il cacciavite così da poter usare il telefono per ascoltare musica. 

Era quasi notte e lo portai fuori al passaggio dove cercavo di ripararlo con il cacciavite così potevo usarlo con il mio telefono per suonare musica.

 S. passò lì vicino e io lo chiamai, come al solito “capo”, in segno di rispetto.

Prima che io potessi rendermene pienamente conto, Solomon mi sferrò dei pugni sulla bocca. Gli chiesi, “Perché mi picchi?”

Allora arrivo V. con una sedia come se avessero pianificato l'attacco; F. aveva una catena. Cominciarono a picchiarmi, colpendomi con la sedia e la catena (di ferro) mentre S. mi teneva le mani ferme di dietro. Il cacciavite era nella mia mano sinistra mentre cercavo di sfuggire alla brutalità di S. V. e F. Il cacciavite nella mia mano sinistra colpì S., per errore, sulla schiena. Loro, S. V. e F. presero il cacciavite dalla mia mano Cercai di fuggire dalla loro brutalità per riferire a M. l'incaricato della  Croce Rossa, ma lui non capiva inglese. Prima di tutto mi portò a lavarmi il sangue perché mi avevano colpito molto forte e mi avevano ferito la bocca, la testa e altre parti del corpo. Così dopo che M. ebbe finito di pulire le ferite, io avevo paura di ritornare nella mia camera e andai nella camera vicino all’ ufficio della Croce Rossa: Poi arrivò la polizia e mi portò in prigione.

In nome di Dio aiutatemi,  vi scongiuro, nel nome di Dio onnipotente ho bisogno del vostro aiuto. Per piacere portatemi fuori da questa prigione mentre sto scrivendo. Per favore, per favore, ho bisogno del vostro aiuto. Per favore salvate  la mia anima da questa infelicità,  da questa condizione di dolore  in cui io sto vivendo. E’ troppo per me, ho bisogno del vostro aiuto.

Per favore.

Possa Dio benedirvi tutti.

Spero di sentirvi presto. Ho bisogno del vostro aiuto.

 

 

 

 

 

 

 

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